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Mercoledì 12 Marzo 2025
Il Milan da inviato. «Lo scoop su Gullit e il regalo di nozze»
Intervista con Furio Fedele, per 40 anni cronista (comasco) dei rossoneri
Una vita accanto al Milan. Chi più di Furio Fedele può aiutarci ad aprire la settimana che porta a Milan-Como. Lui comasco, del centro città, 66 anni, che ha cominciato a fare il giornalista a La Provincia, seguendo il Como di Marchioro. E poi, per il Corriere dello Sport, per 30 anni è stato l’inviato al seguito dei rossoneri. Di cui oggi resta un cantore dagli schermi tv. Ma pure resta comasco, con le sue colazioni a La Luisita o i pranzi con gli amici. Milan-Como. Apriamo il libro.
Furio Fedele: elementari, medie e liceo a Como.
Abitavo in via Zezio. E sognavo di fare il meccanico di moto, un’altra mia grande passione. Scorribande con il mio vespone.
Milanista
No, interista.
Eeeehhh?
Erano gli Anni Sessanta, c’era sempre l’Inter in tv che giocava le Coppe europee. E poi c’era Helenio Herrera che abitava in via Recchi. Sai com’è...
Va beh, ma poi?
Poi c’era un mio compagno di scuola, figlio di ferrovieri, che mi permetteva di andare a vedere i treni. Un giorno mi fa: in classe ci sono troppi interisti, se diventi milanista ti porto ancora in stazione, sennò no. E io cambiai. Avevo 6 anni.
Perché giornalista?
Avevo una bella parlantina, a un certo punto mi misi in testa di fare il telecronista e telefonai a Nando Martellini, la voce della Rai per le partite della Nazionale. Avrò avuto 14 anni. «Ripassa», mi disse gentile. Ma ormai avevo l’idea in testa. Riuscii a entrare come tuttofare a La Provincia: le brevi, archiviazione delle foto, correttore di bozze, qualche torneo serale di calcio da raccontare. Era il 1975. Mi ricordo benissimo che il primo giorno di lavoro fu quello in cui Beltrami vendette Tardelli alla Juventus, per un miliardo. Poi, un giorno, diventai grande di colpo.
Quando?
Il grande cronista Amedeo Vergani, una sera mi disse: «Vieni con me, che ti faccio vedere cosa vuol dire fare il giornalista». Mi caricò sulla Jeep, con cui d’estate andava in Africa a caccia di maschere di legno, e mi portò sul Monte Croce dove si era appena suicidato un ragazzo della Como bene. L’immagine della testa insanguinata fu la mia iniziazione.
Però restò allo sport.
Sì. Cominciai a fare la spalla di Ciro Pinto, il cronista del Como. La prima intervista a Suarez, che venne ad allenare al posto di Rambone. Mi disse: «Vieni pure ragazzo, nello spogliatoio». L’intervista la feci lì. Suarez, ex pallone d’oro. Mi sembrava di volare.
Poi l’Ordine.
A La Provincia mi davo da fare, di sera seguivo persino le auto della polizia, con la Vespa, per vedere dove andavano e chiamavo il cronista in redazione dalla cabina del telefono. Ma a La Provincia non c’era più spazio, me ne andai: presi la moto e girai ossessivamente intorno al quartiere per smaltire la delusione e capire cosa fare da grande. Tornai a casa disperato, ma mia mamma disse che aveva telefonato un tale Soldani. Era Angelo Soldani de L’Ordine. Assunto. E lì diventai giornalista.
Calcio.
Seguivo il Como di Pippo Marchioro, Nicoletti e Cavagnetto. Ma se devo dire una persona che mi colpì in quegli anni, dico il povero portiere Giuliano Giuliani, perché non l’ho mai visto sorridere una volta. Poi andai ad Avvenire, a MilanInter, a La Notte e infine al Corriere dello Sport, nel 1989.
A seguire il Milan.
Beh, avevo cominciato per MilanInter (una rivista che parlava per metà di Inter e per metà di Milan) nel 1985. Prima volta a Milanello: la prima di 1600 volte, più o meno. E 2200 partite. Ricordo l’arrivo di Berlusconi, nel marzo del 1986. Di cui ho raccontato tutta l’epopea dal vivo. In casa e fuori.
Era un periodo in cui a Milanello si poteva parlare con i giocatori e con i dirigenti.
Tutto diverso. Pensa che una volta il portiere Lehmann era convinto che io e Visnadi di Tuttosport fossimo due dirigenti della società. Viaggiavamo anche nell’aereo della squadra e il portiere tedesco, in una trasferta europea, mi chiese se poteva uscire un attimo dall’albergo... (ride, ndr). Con Maldini e Costacurta siamo diventati amici. Quando mi sposai, addirittura Berlusconi mi volle fare un regalo di nozze.
Le nozze spostate di data per... colpa del Milan?
Beh, mia moglie aveva scelto la data del 25 maggio 1998, esattamente la ricorrenza tonda di Verona-Milan 5-3 del 1973. Eh no, eh... Impossibile. E cambiammo la data. Ci sposammo il 29.
Torniamo al Milan.
A Milanello, quando ci buttavano fuori ( a me è capitato più volte, del resto scrivevo per un giornale che difendeva gli interessi delle squadre del centro sud), i giovani colleghi mandavano avanti me al cancello, perché poi vedendomi i dirigenti si impietosivano e ci facevano rientrare.
Oggi è cambiato tutto.
Oggi è un altro mondo per colpa dei telefonini e delle informazioni in tempo reale. Io, una volta, la sera facevo il giro dei ristoranti milanesi, li giravo in moto, per cercare giocatori a cena e portare a casa qualcosa. I miei informatori erano i venditori di rose. Con una moneta da 500 lire compravo le informazioni. Ma adesso arriva tutto in tempo reale. Vale più il commento che la notizia.
La partita più bella e quella più brutta.
La più bella Milan-Barcellona 4-0 ad Atene, la più brutta la finale di Champions di Istanbul, quella da 3-0 a 3-3 poi persa ai rigori col Liverpool. All’intervallo stavo già attaccando il pezzo di gloria. Per fortuna non lo feci. Avrei dovuto riscrivere tutto.
Scoop?
Una volta, nei pellegrinaggi in macchina Milano-St. Moritz per andare a vedere come stava Van Basten, mi trovai lui da solo fuori da casa che doveva andare all’aeroporto. Gli diedi un passaggio e mi raccontò in quel viaggio cose inedite tra cui la visita di Agnelli a casa sua. Titolone. Un’altra volta Cesare Lanza de la Notte mi mandò a cercare Gullit che, infortunato, era sparito da Milano. Andai ad Amsterdam alla cieca. Mi feci portare dal nostro corrispondente a una palestra che frequentava, fuori c’erano due cani giganti un alano e un mastino napoletano. Avevo una possibilità su mille che Ruud fosse lì davvero, e invece arrivò. Lo cercavano tutti, io feci servizio e foto.
Sarà stato contento il direttore.
La mattina dopo mi chiamò e mi disse: mi hai deluso, non hai messo i nomi dei cani. Lo presi per un complimento...
Colpi di mercato?
Uno curiosissimo, mi sfuggii proprio a Como. Ero a cena al Giardino di Cernobbio. Il titolare, un amico, si avvicinò e mi disse che c’era una persona che mi cercava. Mi alzai e lì fuori c’era Ganz, idolo dei tifosi interisti, che mi disse: Furio, ho deciso. Lascio l’Inter per il Milan. Una cosa del genere non capitava dai tempi di Serena, Pasinato e Canuti. Ma lì per lì non ci credetti, perché Ganz rideva, sembrava prendermi in giro. Invece...
Sabato c’è Milan-Como.
Il Milan non è in un momento buono. Anzi, il Como potrebbe trarre vantaggio dal clima di San Siro, perché nonostante la vittoria di Lecce, credo che tirerà ancora aria di contestazione.Passi per la curva, ma addirittura adesso sono i settori di rettilineo i più duri. Ho visto nonni con a mano i nipoti andare a contestare a muso duri dei dirigenti.
Cosa manca al Milan?
Maldini.
Un divorzio inspiegabile.
Mah, certe cose sono capitate altre volte. Berlusconi fece fuori Rivera, Pellegrini fece fuori Mazzola. I personaggi che rischiamo di fare ombra alla presidenza ci sono sempre stati. Però Maldini era davvero importante.
E il Como?
Mi piace molto. Il paragone con l’Atalanta non ci sta, perché il bacino di abitanti in provincia è molto diverso e soprattutto l’Atalanta ha costruito questa situazione con 20 anni di lavoro nel settore giovanile. Ma il Como sta scrivendo una storia nuova, una maniera diversa, in cui c’è una società molto organizzata e scelte brillanti. E poi c’è Fabregas.
E’ davvero speciale visto anche da fuori?
Eccome. Allenatore brillante, si vede che c’è la sua mano. Quante volte mi è capitato di accostarlo al Milan da giocatore. Ma non è mai successo.
E il Como società?
Beh, il Como società è davvero potente. Nelle mie colazioni a Como mi raccontano di come siano abili a fare mosse che tengano presente il rapporto con il territorio. Vogliono cambiare la città, e non lo fanno da colonialisti, ma con un progetto in cui vogliono al loro fianco le istituzioni. Una mossa intelligente. Troveremo il Como in alto, nei prossimi anni.
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