«Il mio Como-Torino. Paz come Beccalossi»

Parla Eraldo Pecci, attuale commentatore a La Domenica Sportiva

Era il 12 aprile del 1976, il giorno dopo il suo compleanno: il Torino vinse al Sinigaglia in una domenica particolare, perché aveva appena sorpassato la Juventus in testa alla classifica e il successo di Como lanciò i granata verso lo scudetto. Quel giorno era in campo anche lui, Eraldo Pecci, che aveva appena compiuto 21 anni. Como-Torino quest’anno torna il 13 aprile, quasi lo stesso giorno di allora, stessi profumi, stessi colori, ma 49 anni dopo. E Pecci ci sarà. Non presente, ma come se lo fosse: nello studiolo della Domenica Sportiva, dove la domenica ogni volta nel tardo pomeriggio si ritrova con tutto lo staff, da Lele Adani ad Alberto Rimedio, ad Adriano Panatta, per vedere insieme i match delle 18 e cominciare a preparare la puntata. Lui, che al tavolo della Ds, porta allegria, gioco, battute e una maniera di vivere il calcio ancora spensierata, in mezzo ad analisi, algoritmi e budget faraonici.

Como-Torino 1975-76. Se la ricorda?

E Come no? Era il giorno dopo il mio compleanno. Eravamo andati in testa alla classifica e avevamo un seguito di tifosi molto importante. Affrontammo quella partita con determinazione. Anche se...

Anche se?

Anche se nel ritiro ci fu la mia famosa battuta. Andai da Radice a tarda sera e gli dissi che non riuscivo a dormire. Mi chiese, tutto preoccupato, se avessi qualche problema. E io gli risposi: “è che qui sopra c’è Chiasso!” Mi diede due calci nel sedere...

Sempre battute eh...

Mi sono sempre divertito, ci vuole anche un po’ di allegria nella vita.

Va beh, torniamo alla partita.

Vincemmo 1-0 con gol di Graziani di testa. Ricordo che credo di non aver mai tirato tante volte in porta come quella partita, chissà, magari volevo festeggiare il compleanno, ma Rigamonti ci arrivò sempre. A proposito di Rigamonti...

A proposito?

Io avevo il compito di andare sui calci d’angolo a disturbare il portiere, solo che Rigamonti era alto sei metri e non c’era verso di spizzare la palla, arrivava con le sue manone e buonanotte.

Quel Como se lo ricorda?

Mi ricordo che ammiravo molto Correnti, un grande lottatore, ma anche un leader del centrocampo. Ci accomunava il numero otto, ma eravamo giocatori diversi. E poi ricordo il Sinigaglia.

Cosa?

Beh, lo scenario incantevole. Il lago sullo sfondo, faceva un effetto particolare, non era una trasferta come tutte le altre. Comunque di quel campionato ho anche un altro ricordo contro il Como: all’andata giocammo a Torino in un nebbione che non si vedeva di qui a lì. Però riuscii a dare la palla del gol a Graziani.

Lei segnò al Sinigaglia nel 1980-81, un successo 2-0 con reti sue e di Pulici.

Quella partita la ricordo meno, se non che battei Vecchi in uscita.

E spiace ricordarle che se lei, al Sinigaglia vinse sostanzialmente uno scudetto con quel successo nel Torino, qui ne perse anche uno con il pari del 1981-82 della “sua” Fiorentina contro gli azzurri ultimi.

Ecco, di quella partita non ricordo praticamente nulla. Meglio così. Anzi, no: ricordo che per noi fece gol Vierchowod che era un ex e che io per descriverlo dicevo sempre che riusciva a marcare due attaccanti contemporaneamente. Mamma mia che forza.

A Menaggio abita un vecchio compagno del suo Torino, Luciano Castellini.

Grande Giaguaro. Ogni tanto ci sentiamo. Si è addolcito con il tempo, una volta era un orso, era difficile stanarlo. Adesso, figuratevi un po’, a volte chiama addirittura lui. Robe da pazzi (ride, ndr).

Lei ha giocato in quattro squadre dai tifosi molto appassionati e che “sentono” molto la storia dei loro club: Bologna, Torino, Fiorentina e Napoli.

Le squadre sono come le donne, ognuna diversa dall’altra, ognuna con un carattere e un fascino particolare. Ci sono quelle più fredde e quelle più passionali. Ho avuto la fortuna di giocare in piazze sempre molto appassionate, che ti lasciano indiscutibilmente qualcosa sulla pelle.

Però il Torino, tra queste, resta la “sua” squadra.

Il Torino si porta dietro una storia tragica che non può non conquistarti. Quando arrivai al Toro, avrei dovuto capire tutto subito: in sede c’erano due gatti neri che di toccavano i maroni... (e ride di nuovo, ndr). A parte gli scherzi il Torino ti entra nelle ossa. Basta fare un giro al Filadelfia, oppure a Superga, e senti qualcosa di speciale.

Lo sentiranno anche i giocatori che scenderanno in campo domenica al Sinigaglia, secondo lei?

Mah, da quando sentii Gullit chiedere “ma chi sarebbe questo Rivera?”, ho perso molta fiducia nei fili che collegano la storia. Spero per loro.

A Como è nato Gigi Meroni.

Non l’ho conosciuto, ma ho studiato la sua storia. Lui, come Ferrini, nel Torino ci sono sempre.

Cosa dice del Como di oggi?

Da subito ho visto che aveva una idea di calcio. Poi ci ha messo un po’ a far quadrare le cose, ma anche quando perdeva si vedeva che c’era un impianto.Poi, certo, ha speso di più di una squadra come l’Empoli, ma il gioco c’è.

E Fabregas?

Si vede che è giovane perché si incazza ancora tantissimo. Diciamo che è uno che non ha preso da Liedholm. Ma al passare degli anni si calmerà anche lui.

Nico Paz le piace?

E a chi non piace?

Assomiglia a qualcuno della sua generazione? Forse ad Antognoni?

Mah, Antognoni era più regista e spaziava più in giro per il campo, a me forse ricorda più Beccalossi, non nel fisico o nella maniera di trattare il pallone, ma per i colpi di genio.

Si diverte alla Domenica Sportiva?

Sì, molto. Ormai sono anni che sono lì.

E porta sempre un tocco di allegria.

Mi pare che si chiami ancora giuoco del calcio. O no? Capisco tutte le analisi, tattiche e di economia, ma certe volte è un mondo che tende a prendersi molto sul serio e io cerco di riportare un po’ di serenità e giocosità. Quello è il mio calcio.

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