«Io, da raccattapalle a titolare in azzurro: la mia doppia serie A»

Iovine: «Mi sembra impossibile. A Como-Cittadella del 2002 ero a bordo campo»

La sua faccia pulita da eterno ragazzino decisamente inganna. Alessio Iovine con i suoi trentatre anni è tra i più vecchi del gruppo. Anche per questo raggiungere la serie A per la prima volta ha un valore ancora più speciale per lui. Che però in un certo senso la A con il Como è l’unico ad averla già conosciuta, proprio in campo...

Alessio, come va?

I primi giorni dopo la promozione sono stati un po’ strani, non riuscivo a realizzare bene. Poi quando sono cominciati i playoff, con le altre squadre in campo e noi no, ho capito tutto un po’ meglio. E sto già viaggiando con la testa verso la nuova stagione, con tantissima curiosità.

Prima del futuro, facciamo un passo indietro. Anzi, parecchi passi. A un’altra serie A che già ti era sembrata un sogno.

Ero in campo come raccattapalle a Como-Cittadella, quella del 2002 quando il Como festeggiò la promozione in A conquistata due settimane prima. Qualcosa che già mi sembrava incredibile, lo ricordo come fosse oggi. Avevo undici anni, figuriamoci se quel giorno avessi mai potuto immaginare di arrivarci io... Pazzesco. Poi, però per la serie A eravamo troppo piccoli, prendevano i ragazzi delle squadre più grandi, ci restammo un po’ male.

E l’occasione per rifarti è arrivata, vedi il destino?

E’ davvero incredibile, perché poi il Como fallì - a proposito, ero anche a Novara, ma da tifoso, quando il Como perse i playout e scese in C2, che poi divenne serie D -, io me ne andai via dal settore giovanile e poi crescendo i sogni un po’ svaniscono. Ho sempre pensato a giocare senza grossi obiettivi. Già per me era stato un sogno tornare nel Como in C...

Due comaschi, tu e Cutrone. Due percorsi diversi ma di sicuro è un aspetto particolare questo, non comune a tutte le squadre.

Anche perché io se guardo indietro a questi anni nel Como ho proprio vissuto e visto, da giocatore e da comasco, la crescita totale di questo percorso. Nostra a livello di squadra, della società, dell’ambiente inteso come tifosi e come territorio, come città. Una città che si sta svegliando nell’attenzione intorno al Como come non si era mai visto. Un’atmosfera magica.

A proposito di magie, tuo figlio è nato il giorno prima di Como-Venezia, In assoluto il weekend che più ti ha cambiato la vita.

Ah si, decisamente non me lo dimenticherò mai. E tra l’altro sono stato fortunato perché è stata una delle poche volte in cui si è giocato di domenica, Tommaso è nato di sabato. Le ore più folli della mia vita, non ho dormito per due giorni.

E hai raccontato che Fabregas ti ha proposto di andare a dormire in albergo per non essere costretto a svegliarti di notte...

Sì, ma in realtà poi è successo una volta soltanto, prima di Como-Bari. Era una fase importantissima, e lui non voleva giustamente lasciare niente al caso.

Tu come hai vissuto le ultime settimane? Quando ti sei convinto che la serie A era davvero raggiungibile?

Allora, comincio con il dire che l’intervallo di Como-Cosenza credo sia stato il più brutto della mia carriera. Per dire, io non ero convinto sinché non ci siamo arrivati. Però dopo la partita di Cremona, per come l’avevamo giocata, con nove gare davanti senza più dover affrontare le più forti che comunque avevamo visto, capendo di non essere inferiori, lì abbiamo capito che potevamo davvero farcela. Certo, avevamo battuto il Venezia, ed è stato fondamentale. Un’altra gara molto significativa è stata quella di Catanzaro, dove abbiamo ribaltato il risultato. Però...

Però?

Ci sono comunque stati momenti in cui ho avuto paura che mi crollasse il mondo addosso. E’ stato fondamentale vincere a Genova, poi le ultime tre gare c’è voluta tanta forza mentale. Con il Cittadella, a Modena, appunto con il Cosenza. Un po’ questa promozione mi ha ricordato quella dalla C alla B, eravamo arrivati a rischiare nelle partite finali, poi abbiamo trovato il colpo di coda che ci ha portato al traguardo. Questo significa avere veramente tanta forza dentro la testa, che quando arrìvi alla fine conta anche più delle gambe.

Come la immagini la tua serie A?

Sono sensazioni assurde quando ci penso. E’ una categoria che ho sempre visto come un’altra dimensione, devo dire che mi mette anche un po’ di agitazione pensare di trovarmi di fronte a certi giocatori... Il mio idolo è Dybala, stare in campo insieme a lui è un’idea che già mi emoziona, per esempio. Arrivo con una giornata di squalifica da scontare, speriamo che non sia una partita contro una grande squadra. No, non so ancora immaginarmi nulla, ci sarà da lavorare tantissimo, ma gli stimoli sono talmente pazzeschi... Spero soprattutto di farcela a meritarmi ancora il posto.

E quella maglia numero 6. A proposito, c’è un perché?

Si e no. In realtà volevo un numero che non fosse il classico 7, che nella mia posizione poteva starci, ma qualcosa che identificasse un ruolo un po’ diverso. E facendo un po’ di scrematura con le scelte degli altri era rimasto il 6. Che poi è anche, dopo il 23, l’altro numero di Lebron James, di cui sono grande fan.

Nei giorni scorsi avevi pronosticato la Cremonese vincitrice dei playoff...

Sì, secondo me potrebbero farcela loro a salire in serie A con noi, ho questa sensazione. Anche se onestamente “tifo” Venezia, perché sono stati un grandissimo avversario fino all’ultimo e se lo meriterebbero.

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