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Venerdì 28 Marzo 2025
«Io sto con Fabregas, sempre avanti»
Parla Andreazzoli, il tecnico dell’Empoli dei miracoli
Agli esteti del calcio, non sarà sfuggito il suo nome: Aurelio Andreazzoli, professore allenatore. Nel 2017-18, dopo una lunga carriera lontano dai riflettori, e poi qualche anno come vice di Spalletti all’Udinese e alla Roma, portò l’Empoli in serie A incantando tutti per il suo gioco spettacolare. L’Empoli di Bennacer, Krunic e Castagnetti e di Donnarumma (ex Como) e Caputo davanti. L’Empoli che l’anno dopo andò in B, nonostante il bel gioco, lo spettacolo e gli applausi sempre avanti, sempre all’attacco, con Di Lorenzo esterno e Zajc dietro le punte. E poi ancora, la salvezza del 2022, con le stesse modalità, lo stesso linguaggio, la stessa filosofia. Chi si è accorto dell’Empoli di Andreazzoli? Tutti quelli che amano il calcio sotto forma di poesia e di cultura. Il tema è attualissimo. Perché anche qui si dibatte sul gioco di Fabregas, sulla spettacolarità, sulle rimonte subìte, sul dispendio di energia, sull’estetica del calcio come valore. Ed è per questo che abbiamo rintracciato Andreazzoli nella sua Massa.
Carico
Carico come non mai: «Francamente non avrei risposto per interviste generiche sul campionato,chi si salva e chi no... Ma se l’argomento è la bellezza nel calcio, beh allora mi provocate... E rispondo volentieri. Eccomi qui». E già l’approccio è poesia. Perché è un tema che sta caro all’allenatore toscano. Lei segue Fabregas? «Certo. seguo un po’ tutto, e non mi è sfuggito il gioco del Como. Anzi, ho incontrato l’allenatore spagnolo a Coverciano per la consegna della panchina d’oro, e gli ho fatto i complimenti». Rivede nel Como, il suo Empoli? «Rivedo la stessa filosofia. Che è quella di andare avanti, giocare, proporre, non avere paura di nessuno, cercare di affrontare tutti con la stessa filosofia».
Sconfitte
Il Como ha perso qualche partita nella seconda metà della ripresa con squadroni, dopo averli messi in difficoltà: «Già aver fatto così per 60’-70’ è un bel risultato. Io ricordo nostre partite giocate alla parti con gli squadroni: vincemmo a Torino con la Juventus, battemmo il Napoli, ma in generale abbiamo sempre affrontato tutti alla pari». Vero che è un calcio dispendioso? «No. Balle. Anzi, i giocatori si divertono, in allenamento e in partita, e danno di più. Ai giocatori piace lavorare così. Ma devono crederci. Come a Como». A Como ci credono, secondo lei? «Si vede lontano un miglio. Sa da cosa si capisce? Da quanti giocatori ci sono dentro l’area. Quando vedo sei-sette giocatori in fase offensiva, significa che la squadra ti segue». Servono giocatori adatti? «Secondo me no. Serve che i giocatori ti seguino, ci credano. Capiscano che giocare così significa avere in mano il pallino del gioco, e non mettere tutti dietro e sperare che ti salvi la provvidenza». Così si prendono più gol: «Può darsi, ma preferisco segnare molto e rischiare di prenderne qualcuno in più». Lei è stato esonerato, pur in un ambiente che è un po’ casa sua, dove è stato ben quattro volte... «In Italia il calcio non è ancora pronto per questa mentalità. Perché poi magari ci sono i direttori che guardano al proprio orticello, pensano al risultato e basta. Lo scorso anno quando ho affrontato il Bologna di Motta, non era la squadra scintillante che sarebbe andata in Champions. Ma hanno avuto pazienza. Sono contento che Fabregas abbia alle spalle una società che crede in quello che fa. Un bel vantaggio».
Bellezza
La bellezza nel calcio è... «Un volàno che conquista tutti, fa moltiplicare e forse, esalta, fa partecipare. Una magìa». A lei chi glielo ha insegnato? «Io ho sempre avuto questa filosofia, sin dal calcio dilettanti. Ma, poi, aver incrociato Spalletti e Luis Enrique sulla mia strada, aver collaborato con loro, mi ha dato la definitiva visione». Come siamo messi con la ripartenza dal basso? «Ci ho creduto subito e in quel momento era un vantaggio, avevi in mano il gico. Adesso è così ripetitiva che può diventare una trappola».
La “sua” partita? «Inter-empoli 2018. La sera in albergo guardammo una partita del Barcellona, che negli ultimi minuti si snaturò, cercando le palle lunghe. Mi feci promettere dai giocatori che no lo avremmo fatto. A San Siro giocammo una partita meravigliosa anche se perdemmo. Quella partita diventò una lezione a Coverciano. Una partita di cui vado molto orgoglioso».
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