L’incrocio Como-Bellemo: «Cinque anni bellissimi»

Intervista «E’ stato un percorso incredibile, professionale e umano. Io auguro davvero a chiunque di poter vivere quello che ho vissuto io a Como»

LILLIANA CAVATORTA

Ci starebbe un giorno intero, e anche oltre, a parlare del Como. Del resto, lo ha scritto lui, Alessandro Bellemo, nel saluto pubblicato sul suo profilo, “avrei voluto non finisse mai”. E quello che ha vissuto a Como e con il Como è una storia che dentro di lui davvero non finirà mai. E viceversa, per chi l’ha vissuta con lui, in campo e fuori.

Alessandro, raccontiamo come è andata? Qui nessuno se lo aspettava, tu?

No, ha sorpreso anche me. Pur nella consapevolezza che giustamente si volesse alzare il livello, cosa che fra l’altro avevo già vissuto gli anni scorsi quando siamo andati in B, io ero pronto a mettermi in discussione, vivevo tranquillo. E’ stata una trattativa inaspettata, per me ma anche per il Como.

Non ti sei sentito, in un certo senso, tradito?

No, la stessa società è stata chiara nel dirmi che avrei potuto dire di no. E’ chiaro che giocare la serie A, soprattutto dopo esserci arrivato come ci sono arrivato, con il mio gruppo, con i miei amici, mi sarebbe piaciuto tanto. Ma a quel punto, per come si erano messe le cose, ho capito che era arrivata l’ora di andare. La Sampdoria mi ha scelto, è una bella opportunità, se il Como ha pensato di lasciarmi andare ora, forse sarebbe ricapitato anche più avanti e non con una occasione del genere. E dunque è stato giusto così. Qua è un ambiente molto bello, non ho rimpianti, sono sereno.

Sotto con i ricordi, da dove cominciamo?

Comincio con quello che mi disse Ludi quando arrivai al Como. Le parole furono, io ti porto in serie A. E lì siamo arrivati. E’ stato un percorso incredibile, professionale e umano. Io auguro davvero a chiunque di poter vivere quello che ho vissuto io con la maglia del Como. Ma so che è una fortuna che può capitare a pochi. Come ho detto, ci siamo dati tanto. Io ho dato tanto e ricevuto tanto. Il Como mi ha cambiato la vita, da tutti i punti di vista, mi ha insegnato a essere quello che sono.

Scegliamo un momento.

Sì, quando abbiamo perso a Olbia verso la fine del campionato di serie C, e sembrava che la promozione in B potesse sfuggirci.

Perchè un momento negativo?

Perchè di questo cammino io ricordo soprattutto i momenti di sofferenza, quelli che ci compattavano di più, e che sono alla base di tutto. Quella sera ci fermammo in Sardegna, eravamo tristi, arrabbiati, avevamo paura di non farcela più. Vennero tutti in camera nostra, mia e di Gabrielloni, e siamo rimasti a parlare fino a tardissimo. E la paura ci è passata, siamo usciti da quella serata con il sorriso, convinti che ce l’avremmo fatta. E così è stato. Andare in A è stato un momento bellissimo, certo, ma io ricordo episodi come questo. Quando ci dicevamo, possiamo farcela e allora non aspettiamo, proviamoci subito.

Tu e Gabrielloni che piange tra le tue braccia la sera della promozione, immagine potentissima...

Ce l’ho sul cellulare, anche le scorse settimane in ritiro la guardavamo spesso. Non avremmo mai pensato che avrebbe avuto tutta questa diffusione... Si, forse lui sarà quello che sentirà di più la mia mancanza, siamo stati compagni di camera cinque anni. E sono felice che sia stato indicato lui come capitano. Per me lui è il mio capitano, e io il suo. Questi anni nel Como non sarebbero stati così belli se non avessi incontrato certe persone, ne sono sicuro.

Domani li incontrerai sul campo.

E sono contento di vederli. Ma per me sarà la prima partita con la nuova squadra, sono sincero, penserò soprattutto a fare bene con la Sampdoria. I miei amici lo capiranno certamente.

Passo indietro di nuovo, dai.

Al primo anno in serie B. Altra stagione importantissima, perchè è quella che ci ha dato la consapevolezza di poter stare in una nuova categoria e di saper anche vincere. Lo ricordo bene come mi sentivo, prima il timore di non sapere come sarebbe andata, poi invece avere la stima di tutti. E non c’è niente di più importante che avere la stima dei compagni, per noi ogni compagno era il più forte della categoria.

E ti sei scoperto anche bomber.

Il primo gol importantissimo, al 90° a Brescia, prima vittoria che ci ha poi sbloccato. E segnai anche la domenica dopo, incredibile. Da lì partì una serie di vittorie che ci ha cambiato la vita. Ma il gol a cui tengo di più è un altro.

Prego.

Quando ci fu il problema di Gattuso, l’anno dopo, e arrivò Longo. Dovevamo tirarci fuori da una brutta situazione, io rientravo da un infortunio al ginocchio proprio in quella partita, contro il Venezia, e segnai il gol della vittoria. Poi mi è piaciuto segnare contro il Lecco l’anno scorso, per la gioia dei tifosi, su un campo dove la volta prima finì malissimo...

Tu sei stato anche uno dei giocatori indistruttibili, a parte quell’infortunio. Uno di quelli che c’era sempre.

Diciamo che qualche partita magari avrei potuto fare a meno di giocarla, nel senso che spesso ho stretto i denti. Ma a stare fuori proprio non ce la facevo.

Il tuo simbolo, la maglia numero 14, che resterà nella storia del Como.

E’ un numero che mi piace, e che quando l’ho indossata, nel Fano, e nella Pro Vercelli, mi ha sempre portato più fortuna che quando avevo altri numeri. E nessuno nel Como me l’ha mai portata via, a Genova era già occupata, prenderò la 7.

E giocherai per riprenderti la serie A.

Beh sì, l’obiettivo è quello. Per poter tornare da avversario a Como? Ma io a Como ci tornerò comunque, figuriamoci. Anzi, appena potrò verrò anche a vedermi qualche partita quest’anno. E’ andata così, ma niente rovinerà mai quello che ho vissuto nel Como. Voglio ringraziare tutti, ma proprio tutti per quello che ho potuto vivere e per i tanti messaggi di affetto sinceri che ho ricevuto in questi giorni. E so che quello che c’è stato, i rapporti di amicizia soprattutto, continueranno per sempre. Io sono felice di aver dato tutto me stesso, non ho rimpianti, questo è quello che conta di più.

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