La bici di Casartelli al Museo: atto d’amore

Il gesto della moglie e del figlio del campione olimpico di Barcellona 1992: ora sarà patrimonio di tutti. Per Annalisa ventinove anni di dubbi e tormenti, poi la svolta: non c’è un luogo più adatto e iconico del Ghisallo

È bella una storia di amore, infinito. E di tenera complicità nata da un grande dolore. Amore e complicità si mischiano, ogni giorno. Perché mamma Annalisa, troppo presto terribilmente messa a dura prova dalla vita, e il figlio Marco, che il papà ha avuto la gioia di farselo solo raccontare da parenti e amici, vivono - più che mai da quel maledetto 18 luglio del 1995 - in simbiosi.

Marco, quando il padre Fabio Casartelli perse la vita in gara al Tour de France, aveva pochi giorni. Adesso è più uomo dei suoi anni, cresciuto bene sotto le amorevoli cure di mamma, che da subito l’ha protetto da tutto e tutti, e nonni (materni in Romagna) e paterni (ad Albese con Cassano).

Una roccia

Annalisa è una roccia. La moglie, compagna e amica che tutti vorrebbero avere. Là - tra palco e realtà, come canta il suo Ligabue - ha dovuto decidere velocemente cosa fare, ovvero rimboccarsi le maniche e guardare al futuro, con la morte nel cuore, ma anche con l’orgoglio di ragazza-donna-madre.

E ha avuto il coraggio di osare, di prendere decisioni difficili, anche drastiche. Crescere, ad esempio, Marco a Forlì, a casa sua. Badando a non tagliare il cordone con Albese (e la riprova è l’amore senza limiti del giovane per Rosa e Sergio, i nonni comaschi, ripagato - anche questa è una storia meravigliosa - con la stessa moneta).

Tra le tante operazioni coraggiose, Annalisa - ventinove anni dopo - ha trovato la forza di aprire cassetti - fisici e psicologici - che non aveva avuto mai il coraggio di toccare. Liberarsi delle paure e dimostrare tutto quello che prova per Fabio. Ad aiutarla, manco a dirlo, Marco che, non più piccolo, nel frattempo si è trasformato nel Grillo Parlante, di certo il primo con il quale confidarsi.

In più, una serie di amiche (soprattutto là, tra Forlì e Forlimpopoli) e amici (principalmente qui, tra le Prealpi, ma anche nelle case dei tanti ex compagni di Fabio): energia allo stato puro per Annalisa. Che si è trasformata in adrenalina il giorno in cui annunciò al mondo: «Partiamo con il ricordare Fabio anche in quella che è da considerare la sua seconda casa».

Ed ecco uno dei tanti effetti benefici dei cassetti non più blindati: la “Casartelli”, una granfondo che alla prima uscita ha fatto il botto e che crescerà anno dopo anno. Dalla “Casartelli”, una tre giorni di eventi e mostra, l’ennesimo input. «Proviamo a lasciare la bicicletta del “Casa” dove deve stare». È la bicicletta rossa dell’oro olimpico a Barcellona 1992. Stavolta è Marco, probabilmente, a suggerire. E forse proprio perché lui, Annalisa ascolta. Ci pensa. Una, due, tre, cento volte. Poi: «Massì, andiamo».

Le maglie della storia

Allora, eccolo il gioiello al Museo del Ghisallo, preso in cura dal presidente Antonio Molteni e mostrato al mondo dello sport, non solo del ciclismo. La bici è e resterà di Annalisa, starà sul colle di Magreglio fino a quando lei lo vorrà, insieme alle tre maglie da professionista di Fabio (Ariostea, Zg Mobili Bottecchia e Motorola) e al mezzo di scorta del Tour ’95. Pezzi iconici che già stanno lì, da tempo, al pari della bicicletta del Portet d’Aspet al Santuario.

Così, dalla sacca nella quale era riposta a patrimonio materiale del mondo del ciclismo il passo è breve per una delle bici più iconiche della storia dello sport italiano. Solo un atto d’amore, e di tenera complicità, poteva concretizzarsi in un gesto così bello. Un regalo che la moglie del campione olimpico, ironia della sorte, ha voluto fare nel giorno del di lei compleanno. Anche questa è magia.

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