L’affaire Antropova. È una star italiana grazie a Della Rosa

Volley La vicenda burocratica della fortissima atleta di origini russe, oro all’Olimpiade con le azzurre. Decisivo il ruolo dell’avvocato-pallavolista di Cantù

Se oggi la Nazionale italiana di volley femminile fresca fresca di titolo olimpico può permettersi di schierare una giocatrice del valore di Ekaterina Antropova - backup di quell’autentico fenomeno chiamata Paola Egonu, ma a sua volta una delle più forti “opposto” al mondo pur avendo soltanto 21 anni - in fondo - ma neppure troppo... - deve ringraziare un canturino che di mestiere fa l’avvocato, ma che da una vita frequenta il mondo della pallavolo, dapprima da atleta e poi da allenatore.

Lui è Massimo “Max” Della Rosa, classe 1961, laurea in Giurisprudenza alla Cattolica di Milano, studio legale a Cantù e un feeling mai interrotto con la disciplina sportiva d’elezione, nonostante dal 2017 - da head coach della Libertas in A2 - abbia smesso una volta per tutte la tuta per abbigliarsi soltanto in giacca e cravatta.

«Tutti i miei anni dedicati alla pallavolo sono stati anni di equilibrismi perché l’impegno su una panchina di serie A è notevole e la professione di legale ha le sue improrogabili esigenze. Mi capitava spesso di rientrare dalle trasferte di campionato il lunedì mattina e di fiondarmi direttamente in tribunale per le udienze. Sono docente federale, quindi tengo i corsi allenatori, gli esami e via discorrendo, ma in palestra non ci sono più stato da allora. Ciò detto, sono rimasto nel mondo della pallavolo dal quale ora mi arriva però soprattutto il suo aspetto patologico, con tutti i contenziosi e le problematiche che in particolare nell’ultimo periodo si sono moltiplicate a seguito della riforma del diritto dello sport e dell’abolizione del vincolo. Ricevo così molti incarichi, dall’Italia e dall’estero».

Il caso

E, appunto, eccoci al “caso” Antropova: quando lei è entrato in contatto con quella realtà? «In prima battuta quando era sorto il problema, c’era stato l’intervento di un collega - incaricato dalla famiglia dell’atleta e dal suo procuratore - che peraltro sino a poco tempo prima aveva lavorato nell’ufficio legale della Fivb (la federazione internazionale del volley, ndr) e quindi abbastanza dentro tali problematiche. Dopodiché, non accolto il ricorso, l’entourage di “Kate” si era rivolto a me».

Ci riassume la vicenda? «La questione principale era che lei era stata tesserata per la prima volta in Italia (nel 2017-18, ndr) da un club di Modena e pertanto da quel momento aveva acquisito la nazionalità sportiva italiana. Non essendo mai stata tesserata in precedenza in Russia, diventava atleta italiana. E da italiana ha giocato per alcuni anni partendo dalle giovanili sino all’A1. Il problema è sorto quando Scandicci ha presentato l’elenco delle giocatrici che avrebbero dovuto partecipare alla Coppa europea Cev e a quel punto la Cev ha rilevato che risultava una precedente registrazione del 2016 fatta ad Antropova dalla federazione russa».

Reazioni? «Ragazza e famiglia sono caduti dalle nuvole, ma intanto era stata bloccata l’omologa del tesseramento da italiana. Così la giocatrice è stata costretta a restar ferma per diversi mesi, finché la società per poterla impiegare ha chiesto un transfert internazionale facendola scendere in campo con lo status di straniera. E nel frattempo ha impugnato il provvedimento. Quel primo ricorso non andò bene e allora venni incaricato io».

E come finì? «Che il Tribunale della Fivb si pronunciò confermando la decisione originaria ovvero per loro rimaneva di nazionalità sportiva russa perché esisteva quella registrazione».

Registrazione peraltro misteriosa. «Quando ancora viveva in Russia, Kate era stata convocata nel 2016 a un raduno per selezionare le ragazze che avrebbero preso parte nel 2017 agli Europei di categoria. Invito che rifiutò poiché non interessata essendo intenzionata a trasferirsi in Italia. Lei a 14 anni era già alta 1.96 e dunque la volevano quantomeno vedere. Così cedette alle insistenze e accettò di andare due giorni al collegiale di Mosca. Una volta lì, confermò che non voleva giocare per la Nazionale russa e invece fu registrata. Registrazione peraltro non valida perché regolamento impone che bisogna essere tesserati per un club, mentre Kate non lo era mai stata limitandosi a praticare la pallavolo al liceo sportivo di San Pietroburgo, dopo aver detto stop alla ginnastica, il suo amore d’infanzia, per “eccessiva” altezza. Semplicemente, era stata segnalata nell’ambito di quelli che in Italia chiameremmo i “piani altezza”. La Fivb, in sostanza, aveva un po’ cambiato le carte in tavola con un’interpretazione della norma dalla stessa scritta, dicendo che quel che conta è la formazione sportiva. E dunque avendo iniziato a giocare a volley alla scuola superiore».

E voi? «La nostra difesa verteva sul fatto che l’attività scolastica non è attività federale e in secondo luogo che quella registrazione era stata effettuata a sua insaputa. Così ho impugnato la decisione avanti al Tas (Tribunale di Arbitrato dello Sport, la massima autorità, ndr) di Losanna e il 1° marzo 2023 dopo un’udienza durata cinque ore è stato trovato un accordo del quale non posso svelare i contenuti per un patto di riservatezza. La Fivb, presagendo il giudizio negativo nei propri confronti, preferì infatti perseguire la via di un accordo riservato. Così Kate ha riacquistato la nazionalità sportiva italiana. Dopodiché per poter giocare in Nazionale serviva però anche la cittadinanza e di quella parte si è occupata successivamente la federazione».

«Fiero e orgoglioso»

Lei al Tas solo contro tutti. «La federazione russa, pur convenuta, non si era in realtà costituita e quindi difesa, mentre la Fivb si era presentata con un’intera schiera di avvocati inglesi e tedeschi a sostenere la propria tesi. Ma i nostri assunti e la nostra dimostrazione appariva chiara». Qualcuno le avrà pur detto grazie, visto che in buona sostanza lei ha messo a disposizione della Nazionale un autentico fenomeno. «Non voglio assumermi meriti, anche se quello era un passaggio fondamentale poiché senza nazionalità sportiva non avrebbe potuto acquisire la cittadinanza e dunque giocare in azzurro. Probabilmente la federazione non voleva schierarsi o esporsi, per ragioni ovviamente politiche, né contro la Fivb né contro la federazione russa e ha così lasciato fossimo noi a togliere le castagne dal fuoco, anche perché si riteneva non ci fossero grandi chance di ottenere ragione. Ed invece si è trattato di un autentico atto di giustizia».

Ha provato un’emozione particolare quando Antropova a Parigi si è messa l’oro al collo, sentendo forse anche un po’ suo quel metallo prezioso? «Mi capita spesso di vedere in campo molte mie assistite e questo vale anche per la Nazionale italiana. Ovvio che fa molto piacere vedere ragazze che conosci fare così bene. Sì, un po’ fiero e un po’ orgoglioso in fondo lo sono».

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