Allarme baby gang a Cantù: «Dobbiamo offrire delle alternative»

La riflessione Il volontariato si interroga sulle violenze in città. «Non è facile creare un rapporto con questi ragazzi, è necessario cercare di imparare il loro linguaggio»

Non si può leggere il presente attraverso gli schemi del passato. Non si può pretendere di essere ascoltati dai giovani se non si impara la loro stessa lingua.

Gli operatori del mondo del volontariato e del Terzo Settore, dopo gli ultimi gravissimi episodi che hanno insanguinato le lastre di piazza Garibaldi e hanno visto per protagonisti ancora una volta dei giovanissimi – quattro fermati, dai 14 ai 18 anni - non cercano una risposta semplice, ma cercano di farsi le domande giuste.

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Il fenomeno delle baby gang non nasce oggi e non nasce a Cantù, ma qui è esploso con una violenza che spaventa e lascia frastornata una realtà di provincia. Michele Benazzi, presidente della cooperativa Mondovisione, conferma che la presenza di ragazzi con fragilità in centro non è una novità: «Mi domando però – dice – cosa è stato fatto per evitare di arrivare a questo punto. Forse avevano bisogno che si proponesse loro qualcosa di diverso dalla piazza, delle alternative. Forse non siamo ancora in grado di garantire un’offerta che possa essere attrattiva per loro».

Si invoca il ruolo degli oratori, ma lo stesso prevosto don Maurizio Pessina, con realismo, ha ammesso che molti di questi adolescenti non sono facili da intercettare, non vogliono esserlo. Mondovisione sta lavorando ad Hub_Garibaldi, che proprio sul crinale ha la propria sede, spazio informativo, sportello psicologico, e arriverà una una piccola attività inclusiva di ristorazione. «Non è facile agganciare questi ragazzi – continua – tanto che io stesso, oggi, mi interrogo sull’efficacia dell’educativa di strada fatta per anni, perché occorre imparare il loro stesso linguaggio. E non appena lo codifichi, cambia ancora».

Dubbi e problemi

Serve quindi, per Benazzi «una lavoro di squadra, a 360 gradi. Il Terzo Settore c ’è, dobbiamo sederci a un tavolo, capire quali siano i bisogni e impegnarci tutti insieme per trovare delle risposte efficaci». Occorre che tutte le agenzie educative collaborino. Ma molto viene fatto già oggi.

Francesco Pavesi, nel direttivo de La Soglia, lo sottolinea: «Dopo i fatti recenti siamo tornati a confrontarci, da tempo si stanno promuovendo azioni che hanno come grande obiettivo la prevenzione di atteggiamenti sbagliati. Ci sono tante realtà belle, come La Soglia, che propone l’attività di doposcuola da anni, con tantissimi bambini e ragazzi». E il nuovo progetto Vicinanza Solidale, che consiste nell’affiancare a una famiglia fragile una famiglia del territorio che abbia la possibilità di mettere a disposizione tempo, risorse economiche ed affettive. Nel 2023, 79 persone coinvolte.

Alla ricerca di una soluzione

«Ci siamo interrogati – continua – ci siamo chiesti cosa serva. Non ci sono risposte facili e immediate, ma senza dubbio un grandissimo potenziale è nelle scuole, da dove tutti questi ragazzi devono passare, ambito dove lavorare per costruire una rete, una comunità educante».

Ma il primo passo devono farlo gli adulti: «Innanzitutto occorre capire questo fenomeno e il modo migliore per riuscirci sarebbe comprenderlo attraverso i ragazzi. Ragioniamo su categorie che dipendono dalla nostra storia, ma non sono convinto che siano adatte a interpretare questo momento storico». E soprattutto, serve solidità: «Gli interventi hanno efficacia solo nel momento in cui ci si incontra, la vera strada è costruire relazioni significative, non il moltiplicarsi di progetti di corto respiro».

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