
Cronaca / Cantù - Mariano
Venerdì 21 Marzo 2025
Canturino studia a seimila metri il mal di montagna
Missione in Argentina per il medico Paolo Rodi: «L’Aconcagua ci ha messo di fronte a situazioni estreme. Venti fino a 125 chilometri e temperature a meno 25. Una sfida massacrante»
Cantù
«È stata una sfida massacrante. Ma che ci ha permesso di raccogliere interessantissimi dati sulla risposta del corpo umano a queste condizioni estreme». La soddisfazione è tanta. La fatica, pure.
Paolo Rodi, 29 anni, di Cantù, medico specializzando in chirurgia generale e dottorando in medicina delle maxi-emergenze, Giovanni Cappa, 32 anni, medico specialista in medicina d’emergenza e urgenza, e Davide Pellegrini, 24 anni, operatore esperto di soccorso alpino, sono tornati dall’Argentina.
Il racconto
«L’Aconcagua, con i suoi 6mila e 961 metri, ci ha messo di fronte a venti a 125 chilometri orari e temperature fino a -25 gradi - racconta Rodi - Abbiamo condotto test a 4mila 300, 5mila e 560 e 6mila metri di quota, rispettivamente a Campo Base “Plaza de Mulas”, Campo 2 “Nido de Condores” e Campo 3 “Campo Colera”, con l’obiettivo di migliorare i trattamenti contro il mal di montagna, raccogliendo dati fondamentali per la ricerca medica».
«La spedizione è durata in totale 15 giorni, sei giorni dei quali sono stati trascorsi ai campi alti, lontano dai comfort del campo base - dice Rodi - niente doccia, niente bagno, solo cibo liofilizzato, niente acqua corrente ma neve e ghiaccio da raccogliere e sciogliere con pazienza. Con noi, senza l’aiuto di portatori o guide locali, avevamo 10 chili in più di materiale per la ricerca scientifica, che includeva dispositivi per la respirazione ed un ecografo. Dopo aver terminato il lavoro scientifico a 6mila metri ci siamo trovati in una finestra di bel tempo, e abbiamo deciso anche di tentare la vetta di quest’immensa montagna».
«È stata la giornata più dolorosa e faticosa delle nostre vite - prosegue Rodi - “Campo 3 è un luogo miserabile, brutto, fangoso. È come l’inferno, manca solo il calore”, ci aveva detto una guida. È stata un’esperienza torturante: si camminava al rallentatore e il respiro sembrava bloccato. Sembrava di respirare attraverso una cannuccia, con la cassa toracica bloccata da qualcuno. Ogni quattro passi, una pausa per respirare. Forse annebbiati dalla fatica, ci sembrava che le rocce nere sul percorso si trasformassero in animali mistici. Sono state otto ore di salita estenuante».
Il momento più duro
«Un membro della spedizione - racconta Rodi, arrivato in vetta - ha iniziato a sentirsi male per davvero: mal di testa pulsante, nausea e vomito: è dovuto scendere rapidamente a Campo 3, lungo il fortunatamente facile sentiero che conduceva in basso. Piedi e mani, comunque, ci hanno abbandonato: solo dopo il sorgere del sole le dita hanno ripreso a funzionare. Scendendo abbiamo incrociato gli altri andinisti in salita, tutti con visi ingrigiti dall’ipossia. Sulla via del ritorno, non so per quale motivo, nella mia mente è comparsa una canzone che rimbombava forte: “Nel blu dipinto di blu”, di Domenico Modugno».
«A Campo 3 abbiamo recuperato Davide, che ci ha atteso di nuovo in forma, e siamo scesi a Campo 2 a un altitudine “di sicurezza” - conclude - La spedizione è stato un successo. Abbiamo potuto raccogliere tutti i dati che ci servivano e i risultati preliminari sembrano molto promettenti. Non immaginavamo neanche di poter tentare la vetta: riuscire a portare in cima due membri della spedizione ci riempie di soddisfazione».
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