Dal Bianco in Argentina per il mal di montagna Gli studi del dottor Rodi

La storia L’obiettivo è di contribuire a una terapia utile per contrastare i rischiosi malesseri di chi sale in quota. Il medico canturino, 29 anni, è specializzando a Zurigo

Sui ghiacciai del Monte Bianco e dell’Argentina per studiare e curare il mal di montagna, con l’obiettivo di contribuire ad una terapia utile ad alpinisti e turisti, e contrastare così i malesseri, rischiosissimi, di chi sale in quota con importanti scarti di altitudine. Nel team, c’è anche Paolo Rodi, 29 anni, di Cantù, medico specializzando in chirurgia generale all’Ospedale Universitario di Zurigo.

La fase due fino a 6.962 metri

«Insieme all’associazione BiAlp e alla Simae Società Italiana di Medicina degli Ambienti Estremi - spiega Rodi, ormai prossimo alla partenza in Sud America - stiamo portando avanti un progetto di ricerca in medicina d’alta quota per aumentare la sicurezza e il trattamento del mal di montagna acuto, una condizione che si sviluppa in carenza di ossigeno e in casi gravi anche potenzialmente fatale. Per la ricerca abbiamo svolto dei test in quota sul Monte Bianco e a febbraio saremo sull’Aconcagua in Argentina, una montagna alta 6.962 metri, per una spedizione di quindici giorni. Stiamo ricevendo moltissimo supporto, a partire dal patrocinio del Cai, il Club Alpino Italiano».

I sintomi: cefalea e non solo

I sintomi della malattia d’altitudine sono cefalea, affaticamento, nausea o perdita dell’appetito, irritabilità e, nei casi più gravi, respiro affannoso, stato confusionale e perfino coma. Se la maggior parte delle persone può salire a 1.500 o 2mila metri in un giorno senza problemi, il 20% di coloro che salgono a 2mila e 500 metri e circa il 40% di coloro che raggiungono i 3mila metri sviluppano una forma di malattia da altitudine.

Il test ha visto impegnati, oltre a Rodi, anche Giovanni Cappa, medico d’emergenza urgenza e presidente della Simea, Bruno Barcella, medico d’emergenza urgenza e vicepresidente Simae, Leonardo Manon, medico specializzando di anestesia nonché alpinista membro Club 4000 del Cai.

Il test dei materiali sulle Alpi

«Sul ghiacciaio del Monte Bianco abbiamo soprattutto testato i materiali e la maschera d’ossigeno - aggiunge Rodi - Noi stessi abbiamo notato che già arrivare al ghiacciaio ha comportato una saturazione significativa della percentuale di ossigeno nel sangue. È stato un preparativo della spedizione a cui parteciperemo a febbraio, anche per il coordinamento tra uno spostamento e l’altro. Una spedizione che durerà tanto perché, pur non essendo così complesso arrivare sin quasi ai 7mila metri, si dovrà però conquistare l’altezza, appunto, un po’ alla volta. Sopra una certa quota, non si dovrebbe salire infatti più di 500 metri al giorno. Sarà necessario di volta in volta acclimatarsi. La distanza da dove si può arrivare con i mezzi al campo base è di 18 chilometri, da percorrere con pesi e materiali: servirà tempo».

«Sono ambienti estremi - ricorda - sul Monte Bianco abbiamo potuto provare temperature parecchio al di sotto dello zero e venti con raffiche molto forti che potremo trovare anche in Argentina. È stato comunque già questo un ottimo test: siamo abbastanza sollevati. L’idea è di andare a studiare una terapia ospedaliera per i problemi causati dall’alta pressione, a beneficio di alpinisti ma anche di turisti senza esperienza, che magari in certi luoghi possono arrivare più facilmente di altrove a 4mila e 500 metri d’altezza e avvertire gli effetti della salita in quota».

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