Il Cervino, l’ultima impresa insieme: «Abbiamo la stessa passione»

Cabiate Il racconto di Andrea Galimberti della scalata di una settimana prima e l’elogio per l’amica Sara Stefanelli

«Cervino per gli italiani, Matterhorn per il resto del mondo, il Matt per noi ragazzi del Green Rock Alpine Club che arrivano in vetta nel lontano 1998 dalla cresta dell’Horli ... io poi ci sono tornato anche nel 2007 dalla cresta del Leone e poi ancora l’anno scorso dalla Svizzera, ma grazie alla mia amica Sara ho pareggiato i conti». Così scriveva soltanto una settimana fa, su facebook, Andrea Galimberti. Per raccontare, anzi celebrare la scalata al Cervino. E per rendere merito alla forza della sua compagna di avventure, Sara Stefanelli.

Sara e Andrea sono stati traditi dall’arrivo di un improvviso fronte di maltempo. Che li ha imprigionati a 4.500 metri d’altezza. Condannandoli. I loro corpi sono stati ritrovati dopo 70 ore dall’allarme.

Eccole le ultime parole social di Andrea: «Dopo il classico corso di alpinismo tre mesi fa Sara inizia ad arrampicare con me. Davvero tanta roba da subito, in alta quota sul facile non ha problemi anzi va da Dio, e poi “Andre, io ho un sogno da sempre, arrivare in vetta al Cervino!!!” la guardo negli occhi e ci leggo dentro una passione infinita, grande come la mia: ok Andre, ti tocca ancora il Matt. La Capanna Carrel è chiusa, bisogna partire dall’Oriondè, 1700 metri di dislivello su terreno per nulla facile (difficoltà D-) e l’esperienza mi dice che è impossibile farlo in giornata. “Bivacchiamo in discesa all’aperto, te la senti?” cosa normale per me, ma non proprio per tutti ... ma per la mia Sara anche si. Il suo entusiasmo è talmente grande che durante l’avvicinamento da Plain Maison al rifugio dell’Oriondè porta lei la corda e la maggior parte del materiale, e vista l’ora tarda la mando avanti ad avvisare che stiamo arrivando ... e lei dopo averlo fatto torna indietro e si prende in spalla anche il mio zaino. Ok, negli ultimi 10 giorni mi sono fatto due quattromila e due tremila “alti” non proprio facili e vado piano per esperienza ... ma lei è davvero fantastica. Dopo un’ottima cena ed una bella dormita (l’Oriondè è il top) alle quattro della mattina dopo si va: oltre a noi solo altre cinque cordate, quattro con guida. Io alla Capanna Carrel ci sono stato in solitaria anche due anni fa, quindi fino a lì la strada la conosco bene e lascio davanti Sara a divertirsi: un omaggio al “Bersagliere” Jean Antoine Carrel davanti alla sua croce, la delicata traversata su sfasciumi, ghiaia e terriccio sotto la testa del Leone, il colle omonimo, le placche Seiler ma poi alla Cheminée (anzi, alla placca liscia che la sostituisce dopo il crollo del 2003) il lavoro sporco com’è giusto che sia tocca all’Andre».

«Breve sosta alla Capanna Carrel poi una fantastica Sara si fa da prima anche la Corda della Sveglia (davvero bello lo strapiombino in uscita) e sta davanti sino alle placche Cretier cavandosela alla grande con qualche consiglio da dietro dell’Andre su terreno comunque mai facile, poi dal “mauvais pas” su cengia espostissima ed aggettante diventa roba mia. Aggiriamo i gendarmi dell’Arête du Coq passando sopra al Linceul (c’è neve quest’anno) sfruttando in parte anche un cavo metallico che essendo piuttosto lasco non è sempre utile sino ad arrivare alla Gran Corda. Me la ricordo bene, partenza bastarda ma ottime prese sulla sinistra, fan... il canapone e si va su in libera: quanto sto bene, sono a casa mia anche se quel “bastardo” del Matt non ti regala mai niente di niente. Sara fa un po’ fatica ma non molla di un centimetro. “Oggi arriviamo su” le dico e il suo stupendo sorriso mi fa dimenticare fatica e stanchezza. Passiamo sopra alla Cravate, una larga cengia innevata, e per passaggi non troppo difficili ma che richiedono sempre attenzione data l’esposizione costante (possibilità di assicurarsi a spit, vecchi chiodi ed anelloni metallici) raggiungiamo il Pic Tyndall. Da qui la cresta diventa quasi orizzontale ma decisamente aerea con un paio di saliscendi fino ad arrivare all’Enjambée, una spaccata su torrione adiacente che permette di accedere alla Testa del Cervino, agevolata da una corda fissa in pessime condizioni».

«Assicuro Sara dall’alto. “Ma qui sotto c’è un salto di diecimila metri!!!” vabbè, sono novemila di meno ma il salto c’è. Parte l’ennesimo “Dai Sara che è tardi!!!” poi terreno facile (sempre nel contesto in cui siamo) con anche un po’ di neve che non disturba più di tanto la progressione sino al Col Félicité dedicato dal signor Leighton Jordan (quello della scala che vedremo dopo) alla prima donna che ha tentato la salita del Cervino nel 1867 la diciottenne Félicité Carrel che dovette rinunciare alla salita (era la decima ascensione assoluta del Cervino) solo perché a 100 metri dalla vetta il vento incessante le sollevava la gonna sul capo, la morale dell’epoca la imponeva: quattro anno dopo nel 1871 la britannica Lucy Walker fu la prima ad arrivare in cima indossando dei pantaloni sotto una gonna di flanella che si tolse all’inizio dei tratti di arrampicata difficili».

«Da qui si torna a fare sul serio: un paio di canaponi e siamo alla scala Jordan che è possibile evitare utilizzando dei canaponi (comunque molto faticosi) sulla sinistra, ma non si può mancare di rispetto al signor Leighton Jordan che finanziò la prima scala nel 1869 per evitare la pericolosa traversata della parete ovest lungo la cengia della Galleria Carrel, via seguita dai primi salitori della cresta del Leone. Torniamo a noi: chi crede che la scala Jordan sia una scaletta da via ferrata è bene che il Cervino lo guardi solo in cartolina, come si diceva una volta. La maledetta si torce e si muove in ogni modo possibile ed immaginabile e dato che strapiomba pure la fatica raggiunge davvero il limite ... ma non la ricordavo così!!! Eh bello, nel 2007 non avevi 53 anni e mezzo. Ok, ma con l’aiuto di santi e madonne di tutta la Val d’Aosta e non solo (aiuto invocato a modo mio obiously) e con l’incitamento da sotto della mia Sara passo anche stavolta. Peccato aver lasciato giù il cognac, qui ne meritavo davvero un goccio. “Andre, ma quanto manca ancora?” mi chiede una esausta Sara (siamo a dieci minuti dalla cima) “Un’ora!!!”. Traverso a sinistra, un ultimo canapone e poi “Eccola la tua croce!!!”. Si lo ammetto, la pazienza non è tra le mie migliori virtù. Segue l’abbraccio più bello che ho mai ricevuto in montagna. Siamo in cima al mondo, è tardi, ma non siamo in cima al Cervino. Si perché mi spiace dare un dispiacere a chi arrivato alla croce dalla cresta del Leone si fa le foto e poi scende: quella non è la vetta del Cervino occorre farsi tutta la cresta sommitale fino a raggiungere la vetta svizzera di un paio di metri più alta di quella italiana con la croce. Anche Sara si accontenterebbe così e mi dice “È tardi, scendiamo subito?” eh no, io arrivo sempre in cima ad una montagna, e la cresta sommitale del Matt è la più bella del mondo, e finisce come deve finire».

«Tutto bellissimo, non vi racconto del colpo d’occhio a 360 gradi con un cielo terso e praticamente senza nuvole, ma poi bisogna anche scendere. Corde doppie solo dove è assolutamente necessario, per il resto assicuro sempre Sara dall’alto. A 4000 metri di quota il sole sta per tramontare, individuo una bella piazzola, sposto un po’ di sassi, tiro fuori il sacco da bivacco et voilà, tramonto per due sulla cresta del Leone. Io ovviamente mi addormento subito sognando fiumi di birra, la Sara invece fa di tutto per tenermi sveglio dato il freddo ed il vento che inizia pure lui a rompere le palle, ma stanotte le perdonerei anche un omicidio volontario per motivi abbietti . Anche la notte più lunga ha una fine e dopo il sorgere del sole non resta che raggiungere la Capanna Carrel e poi il rifugio dell’Oriondè previa piccola grandinata tanto per gradire (che il meteo non prevedeva) perché quel bastardo del Matt non ti regala mai niente, dove ordino la birra con l’imbrago ancora onusto di moschettoni. Purtroppo è tardi per prendere la funivia a Plain Maison ma chissenefrega: si scende a piedi ed in un paio d’ore siamo a Cervinia dove festeggiamo l’impresa con birra e pizza al trancio take away in auto. In assoluto è stata forse la mia più bella salita in alta quota di sempre, Sara sei stata semplicemente immensa sulla montagna più bella del mondo».

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