«Io, vivo grazie a quell’infermiere. Che ora ha salvato mio padre»

Cantù Il racconto di Marco Pozzoli: «Due anni fa aveva capito che avevo un ictus». Pochi giorni fa ha riconosciuto un infarto al genitore

Cantù

Quando tutto va per il meglio, forse non dovrebbe fare notizia. Ma sempre più spesso, quando si parli di sanità, la cronaca rende episodi tremendamente lontani dalla riconoscenza verso il personale che aveva connotato i terribili anni della pandemia.

Invece, ancora una volta, Marco Pozzoli, usa le parole con emozione e con profonda convinzione, per esprimere la propria gratitudine verso l’ospedale Sant’Antonio Abate, dove, un paio d’anni fa, arrivato in pronto soccorso un infermiere aveva immediatamente compreso la gravità della sua situazione, aveva capito che aveva un ictus in atto, salvandogli la vita. Ora è successo ancora, con suo padre Enzo. E al reparto d’emergenza urgenza, anche questa volta, c’era in servizio lo stesso infermiere, Roberto Morganti. Ormai, ride, un angelo custode per la famiglia Pozzoli.

Un angelo custode

Suo padre sta per tornare casa, provato ma salvo. E i medici stessi hanno riconosciuto che non era scontato arrivasse questo giorno, date le sue condizioni, ammette Marco Pozzoli, con il sollievo di chi oggi sa che quelle previsioni non si sono avverate. Tutto è cominciato settimane fa. «Mio padre – racconta – non si sentiva bene, si è reso conto che da giorni aveva la pressione troppo alta. Ha provato a chiamare il suo medico di medicina generale, ma all’inizio non è riuscito a parlarci, poi quando l’ha trovato gli ha fissato un appuntamento per il lunedì mattina seguente. Lui ha spiegato di aver notato che la pressione peggiorava nel pomeriggio, allora ha spostato l’appuntamento di qualche giorno più in là, il mercoledì, quando aveva ricevimento pomeridiano».

In pronto soccorso

Il venerdì, però, Enzo Pozzoli, 80 anni, ha visto precipitare la situazione, respirava a fatica. Ha capito di non poter aspettare, si è messo al volante della sua auto e ha raggiunto in pronto soccorso del Sant’Antonio Abate. «Una volta entrati – continua Pozzoli – c’era ancora una volta in servizio Roberto. Mio padre dice di ricordare solo lui che dopo averlo accolto e fatto sdraiare gli ha chiesto se potevano tagliare la maglietta che indossava. Poi il buio, più nulla».

La diagnosi era pesante, polmonite bilaterale e infarto. L’uomo è stato ricoverato in Rianimazione, prima, quindi in reparto. Ora sta per essere dimesso. «I medici – dice – ci hanno detto di averlo preso per i capelli, la situazione era davvero grave. Ora dovrà fare della riabilitazione, delle terapie. Ma è qui, l’hanno salvato. Come era già accaduto a me, anche in quel caso all’ospedale di Cantù, e anche in quel caso c’era in servizio Roberto. Voglio ringraziare tutto il personale del Sant’Antonio Abate, ancora una volta».

Due anni fa Marco Pozzoli, una domenica di giugno, si era svegliato troppo tardi, con il cuore che batteva il tamburo e il braccio intorpidito, quindi aveva deciso di andare subito al pronto soccorso, in via Domea, poco lontano da casa. Aveva in corso un ictus e agire in tempi assolutamente ristretti è fondamentale, in questi casi. L’infermiere, dopo averlo visto in sala d’attesa, aveva compreso immediatamente la gravità delle sue condizioni e in pochi minuti i medici erano intervenuti.

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