Ospedale di Cantù, la denuncia: «Ore di inutile attesa per l’intervento. Poi dimessa in malo modo»

La voce Un’insegnante di Cremona denuncia: «Odissea al Sant’Antonio Abate di Cantù». «Un rinvio, poi un altro. Mandata a casa da un medico sgarbato, non ci metterò mai più piede»

Non mette in dubbio che la condotta di Asst Lariana sia stata legittima, dal punto di vista delle prassi e delle norme. Ma, sottolinea con amarezza Katiuscia Galli, «non tutto quello che è legale è umano». E lei, arrivata dal Cremonese per farsi operare al Sant’Antonio Abate di Cantù, assicura che non ci metterà mai più piede.

«Ho 51 anni, sette dei quali trascorsi in Africa, e una buona parte visitando una discreta porzione di mondo – dice -: credevo veramente di averle viste tutte. Come avrei potuto immaginare di subire un tale trattamento nel mio Paese?».

Poliposi della colecisti

Tutto ha inizio il 10 luglio, quando un’ecografia addominale eseguita in provincia di Brescia evidenzia una poliposi della colecisti, che richiede un’asportazione in tempi brevi. È insegnante d’inglese, collabora con un istituto linguistico privato di Catania, e non essendo vincolata da un rapporto di lavoro subordinato, se non si presenta puntualmente a scuola all’inizio delle lezioni perde letteralmente il lavoro. Avrebbe dovuto prendere servizio il 25 settembre, per cui, da luglio, comincia a cercare una struttura che le garantisca l’intervento entro l’inizio delle lezioni. Le viene consigliato di rivolgersi all’ospedale di Cantù, dove si presenta per la visita chirurgica il 16 agosto. «Non avendo riferito sintomatologia dolorosa – racconta -, la mia patologia non viene classificata come “urgente”, ma con “priorità elevata”, ciò significa che l’intervento deve essere eseguito entro 60 giorni. Faccio però presente la mia improrogabile scadenza del 25 settembre e vengo rassicurata sul fatto che l’intervento avverrà entro la prima settimana di settembre (il 4 o il 5). Diversamente, mi sarei messa in lista presso un’altra struttura della Regione Lombardia». Le viene poi comunicato che l’intervento è posticipato al 12. Il giorno fissato si mette in auto per percorrere i 135 chilometri fino a Cantù e alle 9.51 riceve una chiamata che le chiede di presentarsi in anticipo.

«Non una parola di scuse»

«Alle 16.30 circa si presenta in stanza una giovane dottoressa con un chirurgo che indossa un camice verde – prosegue -, il quale mi comunica in modo brusco e sbrigativo che non verrò operata quel giorno a causa di una sopraggiunta emergenza. Delusa, ma rassegnata al fatto che le emergenze hanno giustamente, per definizione, la priorità su tutto, mi aspetto che il chirurgo mi comunichi che verrò operata l’indomani, o al più tardi, due giorni dopo. Rimango basita e scioccata quando mi liquida frettolosamente dicendomi che l’intervento è posticipato a tempo indeterminato». E «il medico è chiaro: devo “liberare il letto entro la giornata”». Poi «si congedano senza una parola di scuse».

Prima di andarsene decide di non firmare le dimissioni «provando implicitamente che sono stata allontanata contro la mia volontà». Ma verificherà poi che sul suo fascicolo sanitario l’ospedale ha redatto una lettera di dimissioni «che recita testualmente, “Intervento chirurgico non eseguito per cause di forza maggiori. La paziente lascia il Reparto di sua spontanea volontà”». L’aereo per Catania è decollato senza di lei e l’ospedale si è fatto vivo «non per offrirmi almeno le scuse, ma per propormi il 26 settembre per l’intervento, tecnicamente entro i 60 giorni previsti, ma non in tempo per ricominciare a lavorare». Offerta declinata.

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