Cronaca / Como cintura
Mercoledì 28 Ottobre 2020
«Ho sconfitto il virus a novant’anni
Il mio grazie a medici e infermieri»
Aldo Bianchi, cernobbiese doc, racconta il suo mese di battaglia contro il virus. «Il cappuccio in testa per respirare era un supplizio, ma al Sant’Anna ho visto grande umanità»
Il maledetto virus uccide gli anziani. Ma non lui. Non questo «cernobbiese doc», come ama definirsi, che dopo più di un mese alle prese con il Covid finalmente ha avuto il responso: malattia sconfitta. Alla soglia dei novantanni.
Lui è Aldo Bianchi, cavaliere del lavoro, ex bancario, un uomo appassionato di informazione che ancora oggi legge tre quotidiani al giorno e non perde una notizia del suo paese e della sua provincia. Risponde, con una voce che sa di ottimismo e di speranza, dalla stanza di ospedale dove si trova, in attesa di essere trasferito per la riabilitazione.
«Me lo faccia dire - esordisce - la maestria dei medici, la professionalità e l’affetto degli infermieri e del personale sanitario tutto, hanno permesso a un cernobbiese doc di quasi 90 anni di uscire dal Covid, con il quale ero entrato in rotta di collisione più di un mese fa».
E dunque ripartiamo dall’inizio, da quando, a metà ottobre, Aldo Bianchi scopre di essere stato contagiato: «Non so come mi sia ammalato - dice - Non sono riuscito a ricostruire come sia avvenuto il contagio. Il primissimo sintomo è stata una totale assenza di voglia di mangiare. Niente tosse e, all’inizio, niente di particolare. Neppure febbre. Poi ho cominciato a far fatica a respirare. E così hanno deciso di ricoverarmi in ospedale».
Il contagio
Aldo Bianchi viene portato al Sant’Anna, dove la diagnosi di Covid è confermata. Quasi subito viene sottoposto a ossigeno terapia con la c-pap, ovvero il casco trasparente diventato purtroppo molto noto dallo scoppio della pandemia.
«Mi hanno messo quel cappuccio e sì, è stato un bel supplizio. Sono stato con quel casco in testa per due settimane, giorno e notte». Ma se pensate di sentirlo lamentare, resterete delusi. Perché il suo pensiero principale non è stata la battaglia, non i sacrifici, non la fatica a respirare: ma «il cuore enorme e forte di quelle donne e quegli uomini con la tuta bianca che mi hanno curato». Aldo Bianchi dice di essere stato testimone «enormi gesti di umanità. Appena potevano mi aiutavano a chiamare mia moglie e le mie tre figlie: una lavora alla farmacia del Valduce, una in banca, l’altra è segretaria - sottolinea il signor Bianchi - È quando sei lì, dal basso, che trovi la gente giusta. E al Sant’Anna l’ho trovata. Ho visto una signora che aveva finito il turno, ma ha sentito suonare il campanello ed è tornata indietro senza pensarci due volte. E poi mi hanno curato, accarezzato, perfino coccolato. Gente fantastica, mi creda». Vicini di letto inclusi: «Sono stato in stanza con un ragazzo giovane, avrà avuto vent’anni, anche lui malato di Covid. Mi ha aiutato dalla a alla z. Poi è guarito prima di me, ed è andato a casa. Ora con me c’è un altro signore, ma devo dire che si sta bene anche con lui».
Il messaggio
Il signor Bianchi, chi lo conosce, sa che ha fatto grandi gesti di solidarietà. Ma se glielo chiedi ti risponde: «Non è per questo che volevo parlare». Il suo messaggio è un altro: «Il mio scopo era innanzitutto ringraziare tutto il personale splendito del Sant’Anna. E poi dire a tutti i cernobbiesi che se uno di 90 anni come me reagisce e sconfigge la malattia, allora fate così anche voi: fate venire giù l’aria dal Bisbino, che è aria buona, e reagite».
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