«Minacce e intimidazioni dalla polizia svizzera per me, mia sorella e mia nipote di 10 anni»: la protesta di una donna di Fino con l’ambasciata

Il casoLo sportello dell’auto contro quello del veicolo di una cittadina elvetica in un parcheggio di Chiasso. Da qui gli insulti razzisti, poi il trasferimento in caserma. «Due ore rinchiuse, con una bimba cardiopatica»

Ha dell’incredibile la vicenda che la signora Katia (utilizzeremo solo il nome di battesimo) ha raccontato per iscritto e con dovizia di dettagli al nostro giornale.

Vicenda accaduta nei pressi dello stadio del ghiaccio della vicina Chiasso e formalizzata anche in una Pec inviata all’Ambasciata italiana a Berna e al Consolato di Lugano. «Io, mia sorella e mia nipote di 10 anni - peraltro cardiopatica - abbiamo subito un trattamento increscioso con minacce e intimidazioni da parte della polizia elvetica, scaturite dal fatto che una cittadina svizzera nel parcheggio del centro sportivo ci ha urlato epiteti razzisti e insulti di ogni tipo a seguito dell’apertura dello sportello anteriore della nostra auto che si è appoggiato - senza alcun tipo di urto - alla sua vettura», l’incipit della missiva e del racconto a “La Provincia”.

La vicenda

Nonostante le scuse di rito, la proprietaria (svizzera) della vettura «ha comunque proseguito per oltre 10 minuti con gli epiteti razzisti e le offese contro gli italiani. Il tutto con entrambe le vetture ferme e le rispettive occupanti in procinto di salirvi».

Vista la piega che stava prendendo la vicenda (“La signora svizzera peraltro ha chiamato al telefono il marito, chiedendo delucidazioni sul da farsi”), le due donne e la bimba sono salite sull’auto nel tentativo di rientrare al di qua del confine, anche perché «la donna aveva nel frattempo annotato la nostra targa, dicendo che avrebbe chiesto i danni».

E qui inizia la seconda parte del racconto di Katia, con la «polizia di frontiera che ci ha fermate, tradotte in caserma, tenute oltre due ore in custodia piantonate da più agenti, minacciandoci per le conseguenze penali date dal fatto di aver causato un incidente e di esserci poi date alla fuga. Ci è stato anche intimato di non utilizzare il cellulare. Tutto ciò sembra paradossale, anche perché le due auto erano ferme».

E così dopo «due ore rinchiuse, sedute e zitte (bambina compresa, peraltro - come anticipato - cardiopatica), siamo state costrette a firmare una constatazione amichevole compilata dalla polizia ticinese, con imprecisioni varie, dichiarazioni false e soprattutto dati della minore dati in copia ai cittadini svizzeri. Nello specifico sono stati notificati danni riportati (ma inesistenti), passeggeri dichiarati a bordo e con posizioni a bordo dell’auto, quando nessuno era a bordo dei mezzi».

Detto che il Consolato - secondo quanto riferito della donna - avrebbe risposto in modo lapidario (“Si paghi un avvocato svizzero”), abbiamo chiesto lumi anzitutto alla polizia cantonale - quantomeno per capire di chi fosse la competenza sull’accaduto - la quale ha ci ha risposto, con il consueto garbo, “non possiamo rilasciare le informazioni che richiede».

La richiesta

Da qui la richiesta, attraverso la cassa di risonanza del nostro giornale: «Chiedo, come cittadina italiana, come posso contestare dichiarazioni false che sotto minaccia, mia sorella in quanto intestataria del mezzo di trasporto ha dovuto firmare a fronte di possibile arresto immediato e sequestro del mezzo che ci sono stati intimati per “aver causato un incidente”, senza essere a bordo dell’auto ed “essere scappate da chi e da cosa non lo sappiamo».

In fase di valutazione, a questo punto, la possibilità di sporgere una denuncia alle forze di polizia al di qua del confine.

© RIPRODUZIONE RISERVATA