Quindici minuti per chiamare i soccorsi
La strana notte del sospetto “pirata”

Aveva detto: tornavo dal lavoro. Invece rientrava dopo una notte al pub a Lugano

Se mai ci sarà un processo per l’investimento di Gaetano Banfi, non potrà che essere indiziario. Perché nel dossier consegnato alla Procura, i detective della squadra mobile della Questura di Como, accanto ai dati certi di quanto avvenuto quella maledetta domenica mattina nel sottopasso di via Paoli, puntano soprattutto su considerazioni logiche, contraddizioni, stranezze nelle dichiarazioni rese nelle varie fasi dell’inchiesta da Stefano Piccolo, 31 anni, l’automobilista di Cassina Rizzardi formalmente indagato per omicidio stradale e omissione di soccorso.

Ma l’aspetto centrale della ricostruzione della polizia riguarda il quarto d’ora di tempo impiegato dall’automobilista sotto accusa per chiamare i soccorsi, dopo il primo passaggio dal luogo dell’investimento.

Le contraddizioni

Stefano Piccolo, agli agenti della squadra volante intervenuti quella mattina del 20 ottobre, ha raccontato di aver passato la notte a lavorare e, una volta arrivato all’altezza dello svincolo di via Paoli che conduce verso via Clemente XIII diretto verso casa della fidanzata a Cucciago, si è trovato di fronte il corpo steso di una persona. E ha chiamato i soccorsi.

In realtà la ricostruzione è destinata a cambiare, nei giorni successivi, sulle sollecitazioni dei poliziotti della squadra mobile. Si scopre così che l’automobilista non era stato al lavoro quella notte, bensì arrivava da una serata trascorsa in un pub di Lugano. E che non si era fermato subito, perché la sua auto era stata notata dalle telecamere di via Cecilio passare per almeno due volte.

Dunque, l’automobilista sospettato di aver investito Gaetano Banfi entra in Italia poco dopo le cinque e un quarto del mattino. Esce dall’autostrada e alle 5.28 infila la rotonda tra via Cecilio, Giussani e Paoli e sale in direzione Grandate. Tempo un minuto inforca lo svincolo per l’inceneritore e il tunnel dov’è stato travolto il giovane di Rebbio. Nel corso dell’interrogatorio, alla presenza del suo avvocato, Piccolo ha spiegato che nel corso del primo passaggio ha inizialmente pensato che quello che aveva visto fosse un sacco di rifiuti, poi ha temuto potesse essere un cane e quindi è tornato indietro salendo verso Casnate, tornando sulla Statale dei Giovi, ripassando dal rondò di via Cecilio. Nel secondo passaggio, ha riferito, si è reso conto si trattava di un essere umano, ma impossibilitato a fermarsi perché il punto era molto pericoloso e sotto choc, è andato a cercare aiuto.

I tempi per chiamare i soccorsi

Peccato che - sottolineano gli inquirenti - non ha né composto subito il 112 per allertare i soccorsi, né si è fermato nella vicina sede della Mondiapol (aperta nonostante l’ora) per cercare aiuto, né ha tentato di attirare l’attenzione di un’auto della Vedetta che - stando alle telecamere - lo stava precedendo. E che, per tornare nel punto dell’investimento, ci abbia messo almeno 8 minuti arrivando fino a via Belvedere prima di tornare indietro.

Dal canto suo l’indagato, tramite il difensore Andrea Larussa, respinge ogni accusa: «Ha solo chiamato i soccorsi. Non ha investito nessuno».

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