Colf e badanti, torna a crescere il “nero”. A Como i lavoratori in regola sono calati di 600 unità

Lavori domestici Nel 2023 ne risultavano poco più di 8.100, l’anno prima erano 7.500. Monzani (Acli): «Mancano aiuti, famiglie e lavoratori cercano di pagare meno contributi»

Seicento badanti e colf in regola in meno a Como. È il dato appena pubblicato dall’Osservatorio Inps in relazione al 2023, un dato in linea con quello regionale e nazionale che certifica l’enorme difficoltà a far emergere il lavoro domestico, a dispetto dei periodici “click day” per la regolarizzazione.

La fotografia dell’Inps registra in provincia di Como nel 2023 7.506 colf e badanti contro gli 8.118 dell’anno precedente. Seicento figure professionali sparite dal radar dell’istituto di previdenza, ma con ogni probabilità rimaste a servizio in altrettante famiglie, pagate in nero. La maggior parte, in regola e non, sono donne e straniere, arrivano soprattutto dall’Est, Ucraina in testa, ma anche dalle Filippine e dal Sudamerica. E crescono, a Como come altrove, quelle con più di 65 anni.

All’origine del sommerso la mancanza di aiuti al settore, l’accesso sempre più difficile alle sanatorie e ai bonus e anche l’aumento delle retribuzioni, che rendono complicato per una famiglia farsi carico di un dipendente in regola.

Gli aumenti contrattuali scattati soprattutto l’anno scorso infatti hanno portato i costi mensili lordi a carico delle famiglie in media a 1.600 euro, una cifra importante per una famiglia ma che arriva nelle tasche del lavoratore drasticamente ridimensionata dalle tasse e rende appetibili situazioni, se non del tutto irregolari, ai margini della legge.

Quanto al bonus, per accedere a quello varato all’inizio dell’anno bisognava avere più di 80 anni, essere invalidi, avere l’indennità di accompagnamento, un contratto per lavoro domestico già in essere e un Isee inferiore ai 6mila euro. In provincia di Como corrispondevano all’identikit non più di 150 famiglie.

Aiuti alle famiglie

Per Paola Monzani, presidente di Acli Colf comasca, quello che manca è soprattutto una seria politica di welfare che aiuti le famiglie che spesso non ce la fanno a versare paghe e contributi.

«I dati del lavoro domestico da sempre sono fluttuanti - spiega - per effetto anche dei decreti che vengono periodicamente pubblicati per favorire l’emersione». In Italia c’è stato un picco di regolarizzazioni durante il Covid perché senza un contratto regolare non si poteva uscire di casa per andare al lavoro, poi con il decreto Rilancio c’è stata un’altra spinta all’emersione: «Poi purtroppo come avviene sempre, non essendoci una politica che tuteli o agevoli le famiglie, per esempio studiando forme maggiori di detrazione dei contributi versati, si torna verso il sommerso».

Situazioni “in grigio”

«I lavoratori stranieri - spiega ancora Monzani - in genere hanno tutto l’interesse a chiedere di essere messi in regola perché da quello dipende anche la loro regolarizzazione come documenti. Però spesso privilegiano soluzioni in “grigio”, quelle che consentono loro di denunciare il minimo all’Inps».

La soluzione? «Servirebbe un’analisi approfondita che consentisse di prevedere maggiori detrazioni, mentre ora si possono solo dedurre parte dei contributi. E bisognerebbe prevedere degli automatismi nella dichiarazione dei redditi di questi lavoratori, così che si immettano delle risorse nei conti pubblici che potrebbero essere utilizzate per il welfare».

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