Cronaca / Como città
Domenica 10 Novembre 2024
Premio alla carriera e intervista ad Amalia Ercoli Finzi: «Non fatevi dire che è roba da donne»
Il personaggio Prima donna in Italia a laurearsi in ingegneria aeronautica nel 1962: premio alla carriera al “Città di Como”
Lo sguardo dolce ma deciso, il sorriso a illuminarle il viso mentre racconta la sua storia, la voce ferma di chi ha superato tanti ostacoli nella propria vita ma è arrivata esattamente dove voleva.
In che modo? Studiando tanto, lavorando, oltrepassando i “gradini rotti” che la scala della vita presenta e andando avanti a testa alta. Ora, a 87 anni, vuole essere un esempio e uno stimolo per tutte le donne, affinché trovino il coraggio di credere in loro stesse e non fermarsi davanti a un “non fa per te”. Amalia Ercoli Finzi, ieri pomeriggio, ha ricevuto il Premio alla Carriera 2024, assegnato in occasione del XI Premio Internazionale di Letteratura Città di Como, nella cornice della Sala Bianca del Teatro Sociale. Ercoli è stata la prima donna in Italia a laurearsi in ingegneria aeronautica nel 1962, tra le personalità più importanti al mondo nel campo delle scienze e tecnologie aerospaziali; consulente scientifica della Nasa, dell’Asi e dell’Esa. Ora si gode la sua grande famiglia, ma sente di avere un compito: trasmettere le giuste motivazioni e far emergere il talento delle donne perché, proprio come ha fatto lei, non si arrendano davanti a niente.
Questo riconoscimento è un ulteriore tassello che si aggiunge alla sua incredibile carriera. È felice?
È molto apprezzato, intanto perché è un premio alla carriera, il che vuol dire un riconoscimento per tutto quello che ho fatto nella mia vita e questo è importantissimo e poi perché è un premio dato a una donna. Noi donne abbiamo bisogno di riconoscimenti perché rafforzano la fiducia che abbiamo in noi stesse, è fondamentale. Sono felice anche perché il premio arriva dalla città di Como, io sono lombarda doc. Amo il fare, il lavorare, la serietà.
Quanto è stato difficile percorrere questa carriera e laurearsi, nel 1962, come prima donna in tale ambito?
Non è stato facile, per nulla. Per noi donne, a tutti i livelli della scala, c’è sempre un gradino rotto per cui una parte si ferma e non ce la fa ad andare avanti. Io di minacce di gradini rotti ne ho avute tantissime. Da bambina mi sentivo ripetere come un mantra “non è roba da donne,”. A un certo punto ti dà la preoccupazione che potrebbe essere vero, che le donne potrebbero non farcela.
Lei però non ci ha creduto, anzi.
Io credo di aver superato tutti questi gradini ed essere arrivata non solo a fare una professione tipicamente maschile, ma di farla con un punto di vista femminile. Quello che noi donne facciamo deriva dal nostro gusto e dalla cura, con le ricadute che poi determinano la felicità degli altri.
Negli anni ’60 veniva detto “non è cosa da donne”. Ora siamo nel 2024 e questo tabù non è del tutto superato in alcuni ambiti, incluso quello scientifico.
C’è ancora tanto da fare, proprio perché non è diffusa nella società l’idea che le donne abbiano pari diritti e pari capacità, nonostante in molti casi siano anche superiori alla media degli uomini. Cosa dobbiamo fare perché le cose cambino? Il mio messaggio che porto alle ragazze è che dobbiamo costruire la nostra competenza sulla quale si basa la fiducia in noi stesse. Quindi studi e preparazione. Poi il discorso va allargato ai cosiddetti educatori.
Chi sono?
La famiglia in primis, i genitori e i nonni che hanno vissuto momenti di frustrazione per non poter fare cose che magari avrebbero fatto volentieri e con successo. Poi la scuola che è fondamentale. A un certo punto, quelli che saranno i capi di queste ragazze devono avere il coraggio quando trovano una giovane in gamba di diventarne tutor, cioè quello che può aiutarla nella carriera. Insomma, c’è tanto da fare.
C’è stato un momento in cui ha pensato di non farcela e di fermarsi?
Non uno soltanto, tanti momenti. Io ho una grande famiglia, con cinque figli che richiedono tempo, e una professione impegnativa. Visto che non ho mai trovato nella storia che conosco donne che abbiano mescolato le due cose, famiglia e professione di questo genere, mi è venuto qualche volta il dubbio che potesse essere impossibile. Ma poi me lo sono fatto passare questo dubbio e sono andata avanti.
Tante difficoltà, ma anche soddisfazioni. Il momento più bello?
I vari riconoscimenti e tra questi ci metto quando mi hanno intitolato un asteroide. C’è un pezzo nel cielo, qualcosa di celeste che si muove e che si chiama Amalia Finzi, come me.
C’è un messaggio che vuole lanciare alle ragazze che vorrebbero iniziare questa carriera, ma sono dubbiose per paura di non farcela?
Questa generazione di donne di adesso e del futuro, ha delle capacità enormi che sono tra l’altro supportate dalle nuove tecnologie, quindi abbiamo mezzi possenti per fare, trovare, ricercare. Bisogna che entrino in questi mondi, non possiamo essere tagliate fuori dalle Stem, vorrebbe dire rinunciare a capire quelli che sono gli strumenti che possiamo avere in mano.
Le prime a crederci, dunque, devono essere proprio le donne.
Se rinunciamo a ingegneria, matematica, scienze, vuol dire che non siamo in grado di accoglierne il linguaggio e quindi ne siamo avulse e sarebbe un grandissimo peccato. Le donne devono entrare in questi mondi, devono riuscire a occupare posizioni decisionali perché solo quando si è nella posizione di decidere, si è in grado di proporre una diversa visione delle cose.
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