Assalto kamikaze della mafia turca: vite salvate grazie all’alert da Como

L’operazione Le intercettazioni a carico del capo consentono di evitare almeno due omicidi. Il presunto boss: «Ho una fabbrica di armi»

«Vengo dalle strade e morirò nelle strade». Baris Boyun, il presunto boss della mafia turca arrestato dalla polizia comasca per (tra l’altro) associazione terroristica e banda armata, aveva le idee chiare sul suo ruolo nel mondo criminale. «Ho iniziato a uccidere per vendetta» dice mentre si trova agli arresti domiciliari. Parla con un interlocutore che chiama via Telegram con una sim clandestina. Convinto che nessuno possa sentirlo. E invece in ascolto ci sono gli uomini della squadra mobile comasca: «Ho 300 detenuti e 80 latitanti. Abbiamo formato un’organizzazione eccellente e sto preparando i miei uomini per tentati suicidi, come le organizzazioni terroristiche».

L’attentato alla fabbrica

Uno di quegli attentati in stile terrorismo è stato sventato grazie alle rivelazioni fornite dai poliziotti comaschi ai colleghi turchi. Un attacco in grande stile a una fabbrica di alluminio per uccidere uno dei rivali di Boyun, ritenuto responsabile dell’attentato subito dal presunto boss nel marzo dell’anno precedente.

La fabbrica da colpire si trova sul mar di Marmara, a meno di 200 km da Istanbul. Perché tutto sia preparato al meglio viene utilizzato un drone per un sopralluogo. Boyun individua l’ufficio del rivale e lo segnala al suo uomo sul campo. Ma la fabbrica è ben protetta: vetri antiproiettile, guardie armate e in borghese. E così il presunto boss ipotizza un attacco kamikaze: «Ci mettiamo giubbotti con le bombe, entriamo e ci facciamo esplodere. Che sarà, sarà. Basta che a te non succeda niente» dice al suo interlocutore.

L’attacco sarebbe dovuto avvenire in un orario ben preciso, perché in quel momento c’è il cambio delle guardie: «Siete pronti ragazzi? Radete al suolo quella fabbrica». I poliziotti comaschi allertano i colleghi turchi. E il 21 marzo, giorno prescelto per l’assalto, l’intera area è presidiata di forze di polizia. Vengono arrestate diverse persone legate a Boyun.

L’omicidio del rivale

Un mese dopo le informazioni partite da Como hanno salvato la vita a un’altra persona, della quale Boyun aveva decretato la condanna a morte, in questo caso nella provincia di Sakarya, più o meno a metà strada tra Istanbul e Ankara. Nel mirino un esponente della criminalità organizzata rivale. Il gruppo di fuoco incaricato dell’attentato viene fermato dalla polizia turca: sei persone arrestate, sequestrati sei kalashnikov, due pistole, quattro giubbetti antiproiettile.

E di armi, dopotutto, il gruppo finito nel mirino della Dda di Milano (diciotto le persone arrestate tra Italia, Svizzera e Olanda) ne avevano quante ne volevano. Nel corso del blitz di mercoledì mattina i poliziotti hanno sequestrato numerose pistole. In un’intercettazione, captata dai detective della squadra mobile della Questura di Como, Boyun dice: «Ho il mio produttore di armi personale». Ma quelle armi «non le vendo, le do ai miei ragazzi». Come la Glock sequestrata a Como nel settembre scorso ai tre uomini che scortavano, armati, il boss verso la Svizzera. La pistola, passata al setaccio dagli uomini della scientifica, è risultata avere una canna modificata artigianalmente. E poi le bombe a mano, gli Uzi, di Ak-47. Una vera e propria potenza di fuoco, per quella che - secondo i magistrati - era una vera e propria banda armata con scopi terroristici. Sgominata grazie all’intuizione di alcuni poliziotti di provincia.

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