Cronaca / Como città
Domenica 14 Giugno 2020
Bomba Covid nelle case di riposo
«Dall’Ats non arrivano tamponi»
Il disastro nelle RsaGli anziani ospiti iniziavano ad ammalarsi, ma nessuno faceva i test. La denuncia del presidente di Ca’ d’Industria e le storie delle vittime dalla voce dei parenti
Siamo a metà marzo. Mentre il Veneto cerca di disinnescare la bomba Covid, in Lombardia (e l’Ats Insubria in particolare) si rispedisce al mittente ogni richiesta di tampone, se non si hanno già sintomi gravi. Una delle conseguenze? L’esplosione del virus nei luoghi più a rischio: le case di riposo.
La prima denuncia, formalizzata anche in una lettera al prefetto, arriva a fine marzo dai sindacati: «Ci viene segnalato - sottolineano in una nota dell’epoca Cgil, Cisl e Uil comaschi - che, a fronte di sintomi evidenti accertati dai medici delle strutture, i tamponi non vengono eseguiti e gli ospedali non eseguono il ricovero delle persone provenienti da Rsa e Rsd con sospetto Covid-19, con il conseguente rischio che l’infezione si propaghi agli altri ospiti e al personale».
Albese, più 100% di vittime
Nella casa di riposo Villa San Benedetto Menni di Albese con Cassano il virus entra il 10 marzo. A portarlo all’interno della Rsa è un ospite dimesso dal Fatebenefratelli, dov’era stato ricoverato giorni prima. A ridosso delle dimissioni, nessuno provvede a fargli un tampone per verificare di non aver a che fare con un possibile paziente infetto. Dopotutto le regole d’ingaggio regionali sono chiare: tamponi solo a chi ha i sintomi. E l’anziano ospite, fino a quel momento, di sintomi non ne ha.
Compariranno qualche giorno dopo. E la situazione, rapidamente, precipita. La direzione chiede per settimane all’Ats Insubria di poter procedere con i tamponi agli ospiti e al personale. Tutto inutile. Poi, a fine marzo, i vertici della casa di riposo decidono di muoversi in autonomia. I risultati dei test sono tragici: 45 ospiti positivi (in totale la casa di riposo dispone di 250 posti letto e conta su 330 tra dipendenti e collaboratori). Ad Albese (stando ai dati Istat) tra marzo e aprile i morti tra gli ovr 65 anni aumenteranno del 100%.
Morire senza diagnosi
A Como, a inizio aprile, alle Camelie si muore senza diagnosi. Nella struttura di Ca’ d’Industria gli anziani deceduti sono già dodici. Ma solo uno di questi, per le statistiche ufficiali, è morto a causa del Covid.
«In questa fase - spiegava Gianmarco Beccalli, presidente della Ca’ d’Industria - le autorità sanitarie non dispongono più ricoveri e non effettuano più tamponi nelle Rsa. Dunque è impossibile sapere con certezza la natura della malattia, se si tratta o meno di coronavirus». A maggio i decessi complessivi a Le Camelie arrivano a 47.
Luciano Gabbi era un socio storico della Cannottieri Lario. Quando la moglie si è ammalata ed è stata costretta a trasferirsi a Villa Celesia, ha deciso di traslocare lì anche lui per starle accanto. E lì è rimasto anche dopo la morte dell’amata consorte. Il 30 marzo la figlia Elena viene a sapere che la vicina di stanza di suo papà si è ammalata di Covid. «Chiamo, ovviamente preoccupata, la struttura - ricorda la figlia - La prima reazione è stata: “lei come fa a saperlo?”. Poi mi tranquillizzano, mi dicono che mio padre sta bene, ma io inizio a preoccuparmi». E fa bene.
«Mi chiamano il 4 aprile e mi dicono che è caduto a terra, forse perché aveva due linee di febbre. E che hanno chiamato un’ambulanza». Luciano Gabbi viene portato al Sant’ Anna. Dove rimane tutto il giorno: «Chiamo, e molto gentilmente mi spiegano la situazione. Poi, verso sera, mi richiamano loro per relazionarmi sul fatto che la lastra all’anca ha evidenziato che non c’era nulla di rotto. Gli hanno anche fatto una lastra ai polmoni da cui non è emerso niente. “È tranquillo” mi dicono. Alle 11 di sera nuovo contatto: “Non è Covid perché non ha nessuno dei sintomi, solo tre linee di febbre”. Infine alle due di venerdì notte decidono: lo dimettiamo perché sta bene, lo rimandiamo in struttura alle cure del medico curante».
Dimesso dopo tutte le analisi possibili e immaginabili. Tranne una. Il tampone. Che la Regione Lombardia - come ormai è chiaro - aveva deciso, nella fase calda, dovesse essere fatto solo a chi presentava i sintomi. «Villa Celesia è una casa albergo, non una Rsa, e di medici non ce ne sono. Il giorno dopo chiamo il suo medico che mi risponde, anche se è sabato, ma mi dice che no, non può andarlo a trovare perché non ha i dispositivi di protezione. Allora chiamo la guardia medica e pure loro mi dicono che no, assolutamente non si può». Nel weekend la situazione precipita. E, la settimana successiva, Luciano Gabbi viene nuovamente ricoverato. Il 20 aprile muore.
La canzone preferita
Stefano Capodivento adorava giocare a carte e cantare “Rose rosse per te”. Avrebbe compiuto 78 anni il prossimo mese di ottobre. Le figlie hanno dovuto dirgli addio con una mesta e veloce cerimonia sul sagrato della chiesa di Camerlata, in una giornata uggiosa di metà aprile. Anche il signor Stefano è una delle tante vittime di una mancata diagnosi tempestiva. Nel suo caso, addirittura, è dovuto intervenire il giudice tutelare per farlo ricoverare. Troppo tardi. «Giovedì Santo mi chiamano dalla Rsa di Casasco Intelvi e mi dicono che papà ha la febbre - ricorda la figlia Marianna - ma la dottoressa mi tranquillizza. Io chiedo: il tampone lo avete fatto? Mi risponde: “no, non ha le sintomatologie, ha solo febbre”. Nei giorni successivi abbiamo più volte sollecitato di farci sapere, ma si sono negati al telefono e non ci hanno permesso di contattare in videochiamata nostro papà. Fino al martedì successivo, quando una dottoressa mi chiama e mi dice: “Suo papà si è aggravato, abbiamo fatto il tampone”. Chiamo un ex primario di pneumologia del Sant’Anna, mio amico, e mi dice: “Fallo portare subito in ospedale”. Ma non c’è verso».
Due giorni dopo il tutore del signor Stefano presenta un’istanza urgente al giudice tutelare che, venerdì mattina, notifica alla Rsa di aver autorizzato l’avvocato ad attivarsi affinché Stefano Capodivento venisse ricoverato «in una struttura idonea ad accogliere pazienti affetti da Covid». Il pensionato arriva al Valduce nel primo pomeriggio di venerdì 17. Alle 21 del giorno dopo i sanitari dell’ospedale sono costretti ad allertare la figlia: è morto.
La tragedia negata
Nel bel mezzo della crisi, e a dispetto di storie drammatiche, i vertici di Ats Insubria si affidano a un comunicato stampa ai limiti dell’imbarazzante: «Un attento monitoraggio della situazione nelle Rsa del territorio ha prodotto il risultato positivo di un elevato numero di Rsa senza casi Covid». Pochi giorni dopo quel comunicato si scopre che, al 14 aprile, gli ospiti delle case di riposo della provincia di Como morti certamente per il virus sono 62, quelli che hanno perso la vita con sintomi riconducibili al Covid (ma a cui non è stato fatto alcun tampone) sono 161. Complessivamente, dunque, 223 vittime riconducibili al virus su un totale di 519 lutti nelle Rsa lariane.
Nei giorni scorsi abbiamo chiesto (invano) sia ad Ats Insubria che a Regione Lombardia di poter avere i dati aggiornati sulle vittime nelle case di riposo comasche. Ma la strategia scelta dall’ex Asl e dalla stessa Regione è quella del silenzio. Meno dati si forniscono, meno polemiche si generano. Con buona pace per la trasparenza e per il fatto che quei dati sono pubblici, gestiti da enti pubblici, con personale e politici pagati con soldi pubblici.
Sordi agli appelli
Le istituzioni sanitarie sono rimaste sorde anche all’appello lanciato dal figlio di Giorgio Lorenzoni, 81 anni, di Moltrasio, ospite della casa di riposo Sacro Cuore di Dizzasco. Agli inizi di aprile Gabriele aveva raccontato: «Pare ci siano diverse persone nella Rsa con febbre alta. Dovrebbero dare la precedenza con i tamponi alle case di riposo visto che gli anziani sono considerati i più a rischio». Suo padre morirà pochi giorni dopo, senza alcun tampone. Anche lui aveva la febbre alta.
Così come sono rimaste sorde di fronte al dramma della Rsa Porta Spinola di Mariano Comense: i primi tamponi sono arrivati soltanto tre settimane dopo il primo contagio. Le conseguenze della bomba Covid sono ormai fuori controllo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA