Causa al Comune, 10 anni per la sentenza

Il caso Azienda chiedeva 30mila euro mai corrisposti per la comunicazione della mostra “Ritratti di città”. Per decidere la giustizia civile si è presa il suo (lungo?) tempo

Ti pago se mi pagano. E siccome non mi hanno pagato i soldi promessi non arrivano. Scatta la causa. E ci vogliono dieci anni per arrivare a una decisione finale. Il tutto per un asserito debito da 30mila euro. Alla fine vince il Comune. Anche se le spese processuali sostenute se le dovrà ugualmente pagare.

Se qualcuno cercava segnali di ripresa sul fronte tempi della giustizia civile, la storia che affiora dalla Corte di Cassazione è una doccia fredda. Perché risale al 28 giugno 2014 la pietra dello “scandalo” che ha dato il là alla controversia legale tra una società di comunicazione milanese e Palazzo Cernezzi. La pietra in questione è la mostra “Ritratti di città” da Boccioni a De Chirico realizzata a Villa Olmo dall’allora giunta Lucini, e voluta dall’assessore Cavadini.

La grande mostra

La Sae Comunicazione Integrata srl si era aggiudicata il servizio di gestione dell’organizzazione della mostra, in cambio di un corrispettivo di 47.249 euro, come previsto dal contratto. Tra gli articoli del contratto uno prevedeva il pagamento di altri 30mila euro, subordinata alla circostanza che quei soldi fossero stanziati dall’amministrazione provinciale. Stanziamento che in realtà poi non c’è stato.

La Sae srl, a fronte del mancato pagamento, ha chiesto e ottenuto un decreto ingiuntivo al Tribunale di Como. Il Comune si così trovato costretto a corrispondere quei soldi, ma nel frattempo ha fatto ricorso. Vinto in primo grado, perso in appello.

Vale la pena raccontarli, in ogni caso, i motivi della controversia. Al momento della stipula del contratto, l’accordo era chiaro: gli oltre 47mila euro pagati e a spese del Comune, ulteriori 30mila pagati solo in caso in cui la Provincia avrebbe elargito il contributo. In realtà Villa Saporiti ha dato sì il patrocinio alla mostra, ma gratuito. I giudici della corte d’Appello di Milano, che avevano dato ragione all’azienda di comunicazioni, nella loro sentenza hanno scritto che «quando il contratto è stato stipulato, il Comune già sapeva che la Provincia non avrebbe elargito la somma, e che nonostante ciò ha, sia pure condizionatamente, prospettato alla società che quella somma sarebbe stata erogata». Come dire: l’amministrazione ha firmato un contratto dicendo che avrebbe pagato solo se avesse ricevuto i soldi dall’Amministrazione Provinciale, quando già sapeva che quei fondi non li avrebbe avuti.

La sentenza definitiva

La Cassazione ha ribaltato la decisione dell’appello e ha dato ragione al Comune di Como. Perché, secondo i giudici romani, il mancato pagamento di quei trentamila euro «non costituisce violazione dei criteri di buona fede o di correttezza, anche ammesso che il Comune fosse edotto della determinazione provinciale, ciò in quanto non vi è stata incondizionata promessa della somma», ma solo subordinata.

Ma al di là del merito, non possono non lasciare perplessi i tempi della sentenza: dieci anni di attesa per una decisione definitiva. Nel frattempo Como ha già cambiato due sindaci.

© RIPRODUZIONE RISERVATA