Cecilia Strada approda in politica per le europee: «L’esperienza di salvataggi in mare mi ha insegnato il valore della scelta»

Verso il voto Intervista a Cecilia Strada, capolista del Pd nella corsa alle europee per circoscrizione Nord Ovest. Ex presidente della ong Emergency, filantropa e saggista

Presidente di Emergency dal 2009 al 2017, poi in prima linea per i soccorsi nel Mediterraneo centrale, Cecilia Strada si affaccia alla politica per la prima volta con questa candidatura alle elezioni europee, capolista del Partito Democratico

Dopo tanti anni nell’ambito umanitario, con queste elezioni passa alla politica. Si percepisce la differenza?

Mi sono accorta che la responsabilità che si ha quando si lavora o si fa volontariato in ambito umanitario è una responsabilità nei confronti di qualcuno, una persona singola o un gruppo specifico. Dopodiché un operatore può anche legittimamente non sentirsi responsabile per tutti gli altri. Per esempio, chi si impegna nell’Opera San Francesco non si occupa del cambiamento climatico. Per il politico è diverso: si ha la responsabilità di tutti e di ciascuno.

E lei la sente molto ora?

Sì perché ci sono delle disuguaglianze troppo grandi. Quando si fa politica bisogna intervenire prima che le persone arrivino all’Opera San Francesco o in generale a chiedere sostegno al Terzo Settore: dobbiamo risolvere i problemi prima.

Cosa l’ha spinta ad accettare la candidatura con il Pd?

Volevo provare a fare la mia parte per contribuire a risolvere i problemi delle persone. Abbiamo davanti le sfide più grandi della nostra vita, come Europa,:dalla conversione ecologica alle guerre in corso. In un Paese, come l’Italia, in cui le disuguaglianze sono così forti, e a dirlo non sono io ma la Banca d’Italia, servono politiche eque, altrimenti la prossima crisi ci spazzerà via. Ho detto di sì per questo, per costruire un’Europa più giusta. Contrasto le disuguaglianze da tutta la vita e credo che ognuno debba fare tutto il possibile per costruire un mondo con più giustizia sociale.

Ma avrebbe detto di sì anche se la proposta della candidatura fosse arrivata in passato, da altri leader del Pd?

Non so se mi sarebbero arrivate proposte di questo tipo prima di Elly Schlein. La conosco da tempo, io e lei siamo sugli stessi temi e ci siamo sempre trovate sullo stesso palco a parlare di diritti e giustizia sociale. Ho molta stima e fiducia in lei e mi piace la rotta che sta impostando per il partito, che prevede anche il coraggio di dire cosa il partito ha sbagliato finora.

C’è una storia delle sue esperienze in Emergency che le è tornata in mente, quando ha accettato questa candidatura?

Ho sentito un po’ di amici e di persone di cui ho stima, dal sindaco Sala alla mia maestra della scuola materna, ma quello che mi ha fatto decidere è stato un ragazzo che ho conosciuto in mare. Lui è sopravvissuto a un naufragio, durante il quale abbiamo salvato 47 persone. Purtroppo una signora è morta. Abbiamo recuperato il suo cadavere, poi ricordo di aver ringraziato quel ragazzo per aver resistito. Lui mi ha detto che non aveva scelta, come le persone in mezzo al mare con lui. Non l’ha avuta nel lasciare il suo Paese e nel percorso fatto dopo, non l’ha avuta quando gli hanno indicato l’ammasso di lamiere che chiamavano barca e su cui è salito. Mi ha detto che invece io avevo scelta e avevo scelto di essere lì. Anche all’interno dell’Italia c’è chi ha scelta e chi no. Se le disuguaglianze sono così forti, che tipo di libertà di scelta può esserci per i 4 milioni di italiani che non si possono più curare perché non hanno soldi? Chi ha scelta ha il dovere di scegliere bene e di fare tutto il possibile per far sì che anche gli altri possano scegliere.

Cosa sta sbagliando l’Europa nella gestione dei flussi migratori nel Mediterraneo?

L’Europa ha scelto di tirar su i muri della fortezza e di investire moltissimi soldi in barriere fisiche o in tasse che vengono pagate, per esempio, alla guardia costiera libica incaricata di portare indietro le persone che partono. C’è bisogno di governare il flusso migratorio, ma non possiamo chiudere le porte perché, come ha detto il governatore della Banca d’Italia, non abbiamo più lavoratrici e lavoratori. Nel 2045 l’Italia si fermerà perché avremo un rapporto occupati non occupati di 1 a 1. Dobbiamo invitare lavoratrici e lavoratori a venire qui.

In che modo?

Dobbiamo creare canali di accesso più sicuri e legali, con processi di integrazione più rapidi che attirino anche l’interesse di persone formate e interessate a lavorare qui. Il blocco navale proposto dalla destra non è attuabile, è pura propaganda e gli elettori lo sanno. Di certo lo sanno gli imprenditori di centrodestra che si rendono conto di aver bisogno di lavoratori stranieri per andare avanti. Sulle migrazioni non serve capire il cosa ma il come. E il come è la legge. Tenere le persone nella clandestinità come conseguenza di una legge, perché oggi in Italia se perdi il lavoro perdi anche il permesso di soggiorno e ti trovi irregolare, non porta a niente di buono.

Le modifiche apportate al regolamento di Dublino non vanno in questa direzione, però.

Il patto emigrazione-asilo è un disastro, infatti il Pd non l’ha votato, e non solo perché violerà i diritti delle persone migranti, ma anche perché non tutela l’Italia e quindi non dovrebbe piacere nemmeno a un governo sovranista. Non genera solidarietà europea e non tutela i Paesi di primo approdo perché gli Stati possono non ricollocare i migranti e pagare una multa al suo posto.

Sulla guerra in Ucraina la posizione del Pd sembra ambigua. Si parla tanto di armi quanto di pace. Come lo spiega?

Stiamo dicendo tutti che dobbiamo investire in un negoziato, perché bisogna arrivare a una pace giusta. Sono passati due anni e stiamo ancora contando i morti. Le dichiarazioni di Stoltenberg rispetto alla posizione della Nato hanno suscitato reazioni da ogni parte politica, perché non possiamo rischiare un’escalation ulteriore. Il Pd nella prossima legislatura propone di istituire corpi civili di pace europei. Parleremo anche di difesa comune, l’esercito è una parte della difesa, ma la difesa vera è la diplomazia per non iniziare la prossima guerra. Solo così potremo diventare una superpotenza di pace, con disarmo nucleare, come stabilito negli accordi di Ventotene. Il miglior momento per parlare di disarmo nucleare era il 1945, il secondo miglior momento è adesso. L’incubo nucleare ci tiene svegli di notte.

Durante questa campagna elettorale le è capitato di pensare ai suoi genitori (Gino Strada e Teresa Sarti, fondatori di Emergency) e ai consigli che le avrebbero potuto darle per affrontarla al meglio?

Questo è un periodo in cui molte persone che votano altri partiti mi dicono che mio padre si rivolta nella tomba per questa candidatura: sono commenti di cui non tengo conto, faccio un sorriso e vado avanti. Se mi viene voglia di chiamare i miei genitori? Certo, sempre. Ma non posso. So però che mi avrebbero detto di tirare dritto e fare le cose che ritengo giuste, perché mi hanno sempre insegnato che fare la cosa giusta è la soluzione migliore.

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