Cent’anni di storia del Patria tra guai e polemiche

Le tappe Fu varato con il nome di “Savoia” nel 1926 assieme al gemello “28 ottobre” (che sarebbe poi diventato noto come Concordia) fu usato fino alla fine degli anni Settanta, poi l’inizio del lungo periodo “spettrale” del piroscafo

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Il Patria fu varato con il nome di “Savoia” nel 1926 assieme al gemello “28 ottobre”, che oggi i comaschi conoscono con il nome di Concordia. Il cambio di nome, per l’uno e per l’altro piroscafo, è datato 25 luglio del 1943, in piena guerra. Nel 1945 un “caccia” alleato mitragliò il Patria e sul ponte rimasero cinque morti e 17 feriti e a quel punto il piroscafo venne “nascosto” dietro l’isola Comacina.

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Negli anni ’80 l’inizio dello spettro che lo avrebbe portato progressivamente alla dismissione

Nel ’51 tornò in servizio dopo lavori di ristrutturazione che ne trasformarono l’alimentazione da carbone a nafta e, nel 1966 venne rimesso a nuovo con una modifica al “fumaiolo” (in bianco e rosso) che non rispecchiava quello storico e restituito all’utenza nel ’73 con il salone di prima classe stupendamente arredato con divani e poltrone di pelle, soffitto a stucchi e parquet secondo gli schemi originali di costruzione, fedeli alla moda in voga nel secolo scorso. Anche il “fumaiolo” tornò al colore originario, il nero. Negli anni Settanta venne usato per il noleggio e, nel decennio successivo, iniziò lo spettro che lo avrebbe portato progressivamente alla dismissione. Quei piroscafi venivano definiti «inadatti» e «troppo costosi» e l’idea, contro la quale sarebbe poi scattata una mobilitazione addirittura transnazionale, fu quella di eliminare l’alimentazione a vapore. Snaturarlo, insomma.

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È del settembre 1990 il primo appello dell’allora presidente della Famiglia Comasca Piercesare Bordoli per il salvataggio del Patria a cui risposero in massa (oltre duemila firme) gli Amici del vapore svizzeri di Mario Gavazzi, che in più occasioni avevano noleggiato il piroscafo che fece il suo ultimo viaggio il 28 ottobre del 1990. L’anno successivo nacque il “Comitato Patria” a cui poi aderirono istituzioni ed enti. Nel 1992 il Patria era a Dervio per dei lavori che proseguivano a rilento e, alla fine dell’anno, venne trainato a Como, ormeggiato alla diga e lì rimase per anni. Nel ’94 venne riportato a Dervio. Nel 1995 vennero tolte le caldaie e rimase in acqua, ma in disarmo andando progressivamente in rovina. Nel 1999 la mobilitazione di Bordoli che raccolse oltre 15mila adesioni.

Tra progetti mai presentati e l’addio ai fondi

Promesse, accordi firmati che diventeranno nel giro di poco carta straccia, progetti mai presentati e addio i fondi messi a disposizione dalla Regione (e non solo) per restaurarlo.

Inizia poi la storia recente. Tra il 2001 e il 2008 è la Provincia a muoversi: nel 2003 il presidente Leonardo Carioni sposa l’idea del recupero e va di persona a visionarlo a Dervio, stanzia dei fondi. Nel 2004 il primo documento per l’acquisto da parte di Villa Saporiti, che diventerà effettivo il 7 agosto 2007. La Provincia compra il Patria per un euro simbolico e, successivamente, spende 3,5 milioni per il restauro che si conclude nel 2013. Il Patria, però naviga poco e solo nel 2014. Per un anno torna anche alla Navigazione perché per la Provincia una gestione diretta è impossibile, ma viene restituito. A quel punto Villa Saporiti apre una gara e la società comasca Como Steamship Company punta a farne un battello di lusso dopo un nuovo recupero. Ma poco prima della firma dei documenti per l’affidamento della gestione, emerge un problema insormontabile: la Navigazione non concede ai privati gli spazi per la manutenzione. Nel novembre scorso l’ultimo (forse) atto: concessione per 25 anni alla Navigazione.

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