La società più ricca di soldi e di idee: così cambiò la storia

Proprietà L’avvento degli Hartono cinque anni fa. Un progetto a doppio filo con quello sulla città. Calcio, brand, beneficenza e merchandising: tutto

Si era fissato Massimo Nicastro che avrebbe trovato un grande imprenditore straniero innamorato di Como, che avrebbe portato la squadra ad alti livelli. Non gli avevamo creduto. È andata esattamente come aveva pensato lui. La città di Como un traino, uno specchietto per le allodole, un uccello da richiamo. Per costruirci sopra una favola sportiva e imprenditoriale.

Così un bel giorno della primavera del 2019,in uno studio notarile di Milano la famiglia Hartono, un colosso indonesiano imprenditoriale composto da 81 società diverse dei più di sparati settori, dal tabacco alle banche, dai mobili alla comunicazione, dall’enterteinment alle assicurazioni, ha acquistato la squadra. I due fratelli indonesiani Budi e Bambang sono ai primi posti della classifica di Forbes nell’elenco degli uomini più ricchi del mondo, Il loro patrimonio “doppia”, “tripla” quello di qualsiasi altra società italiana di calcio, anche quelle più blasonate.

La differenza l’hanno fatta visione, progetto e direzione

Ma si può dire che, paradossalmente, i soldi, come si dice, non sono tutto nella vita, e non sono tutto in questa storia. La differenza l’hanno fatta la visione, il progetto, la direzione che questa società, prima per mano del manager americano Michael Gandler, poi per quella di Mirwan Suwarso (coadiuvato da Dennis Wise e Charlie Ludi per la parte prettamente sportiva), il vero ideatore e gestore di tutta l’operazione, avevano in testa. Non hanno sbagliato un colpo dentro e fuori il campo. Sul terreno di gioco, sono partiti con una promozione e mezza (una, appena acquistata la squadra, ma passeggeri del successo di Corda e compagni) e una dalla C alla B negli stadi deserti per via del COVID. E tutto questo con la politica dei piccoli passi, cercando di conoscere il calcio italiano senza buttare via soldi, con una dose anche di fortuna che però, come si sa, aiuta gli audaci. Ma è stato dopo 3 anni di Serie B che si è intuito il vero potenziale di questo gruppo. Quando, a un certo punto, dal niente, improvvisamente, senza preavvisi, hanno schiacciato l’acceleratore. L’hanno detto, l’hanno fatto. Dall’autunno inverno scorso, tutto è cambiato. I piccoli passi sono diventati grandi passi, grandi falcate, sempre più ampie, sempre più veloci, con una sicurezza impressionante.

La sensazione che non ci si possa fermare qui

Ed è arrivata la 6ª promozione in seria A del Como, ma soprattutto la sensazione che non ci si possa fermare qui, ma che l’idea sia quella di portare la squadra addirittura alle soglie dell’Europa, e chissà dove altro. Perché la linfa di questa avventura è legata a doppio filo al progetto fuori dal campo disegnato sulla città. Il progetto di creare un brand sul nome di Como, laddove i comaschi in ventanni di George Clooney non erano riusciti fare nulla. Dunque Como che diventa marchio da vendere, da pubblicizzare, Con un occhio ai turisti e con la sensazione che tutto questo marchingegno possa diventare un’immensa agenzia turistica con Como al centro del progetto, dentro e fuori dal campo. E i risultati si vedono già. Stadio pieno di stranieri, siti specializzati che inseriscono il Sinigaglia tra i venti stadi dove vedere una partita almeno una volta nella vita, trasmissioni estere che si occupano del fenomeno Como. Hanno avito ragione loro. Chapeau.

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