Como tra vent’anni sarà l’unico capoluogo lombardo a non avere una crescita di popolazione

I dati Non solo denatalità, calano le persone che si trasferiscono qui. Angelo Monti: «Sarà un resort di lusso per anziani?»

La popolazione di Como, tra vent’anni, sarà diminuita del 3,3%: un destino unico nella Regione, che segna una distanza politica e sociale netta tra il capoluogo lariano e gli altri capoluoghi lombardi, per i quali, nel 2043, si prevede una crescita. Più o meno significativa, certo, ma pur sempre una crescita da cui Como sarà invece esclusa, se il trend non cambierà.

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Tre indicatori

Sono tre gli indicatori presi in considerazione dall’Istat per realizzare questa proiezione: fecondità, sopravvivenza e migratorietà. E secondo questi indicatori, analizzati sulla base di come è cambiata la composizione demografica della città negli ultimi anni e su come recepirà i cambiamenti delle altre città e di tutta la Regione, Istat ha ipotizzato che di qui a vent’anni la popolazione passerà da 83.691 residenti calcolati all’inizio del 2023 a 80.913 nel 2043. Gli altri capoluoghi invece cresceranno, con l’eccezione di Varese che corre il rischio della stasi, ovvero di avere una popolazione ferma nel corso degli anni.

Ciò che maggiormente svantaggia Como non è il tasso di fecondità e l’annessa denatalità di cui molto si è parlato negli ultimi anni (in città, secondo l’Istat ci saranno 572 nati nel 2043, 38 in più di quanti ce ne sono stati nel 2023), bensì il tasso di migratorietà.

Un dato, questo, che tiene insieme flussi verso la città differenti. C’è chi si trasferisce nel capoluogo spostandosi da altri Comuni della medesima provincia, chi invece sceglie la città arrivando da altre province lombarde o di altre regioni, così come non manca chi sceglie di arrivare in un capoluogo lombardo dall’estero.Il tasso di migratorietà, che tiene insieme questa rete diversificata di spostamenti da e verso le città, a Como subirà una decrescita decisamente più significativa che in altri capoluoghi, passando dal tasso migratorio netto pari a 6,6 (dato del 2023) a un tasso migratorio netto pari a 2,9, tra vent’anni. La vicina Lecco, per esempio, partiva già nel 2023 con un tasso migratorio netto più alto (10) e secondo le proiezioni Istat arriverà alle soglie del 2043 con un tasso pari a 5, dato simile a quello di altri capoluoghi lombardi in crescita come Brescia (dal 12,3 del 2023 al 5,8 del 2043) o Bergamo, quella destinata in vent’anni a una maggiore crescita di popolazione (il tasso migratorio netto della città passerà da 14,5 a 6,5). In nessun altro capoluogo scenderà come a Como, fatto che si traduce in un’attrattività della città su nuovi residenti destinata a calare di anno in anno. Come, peraltro, già si evidenzia guardando il passato vicino: tra il 2022 e il 2023 è diminuito il numero di persone interessate a trasferirsi a Como, passando da 894 a 537 (a scendere sono soprattutto i residenti in altri comuni comaschi, che scelgono di evitare la città).

Le zone strategiche

In un intervento pubblicato sulle pagine di questo giornale nel corso dell’estate Angelo Monti, urbanista ed ex presidente dell’Ordine degli architetti di Como, aveva detto che «il destino di Como è segnato». «Una prospettiva un po’ negativa - commenta - Però questi dati la confermano e devono metterci in allerta. Il compito della politica, che è fondamentale per invertire la tendenza negativa è quello di avere una visione progettuale che vada oltre la gestione dell’ordinarietà». Monti guarda soprattutto a Bergamo: «Sicuramente le politiche messe in atto dall’amministrazione Gori in questi anni hanno dato frutti» sottolinea infatti.

«La politica deve fare questo: intuire quali sono i programmi orientati a lungo termine che possano andar oltre il turismo come unico asset strategico, come stiamo vedendo qui a Como, e offrano invece condizioni di vita, prospettive di lavoro e accessibilità alla casa migliori di oggi. Possiamo farcela se iniziamo ad agire con azioni mirate non tanto in centro storico, ma in altre aree nevralgiche della nostra città. Un tempo erano la Ticosa, il San Martino e le caserme. Ora quali sono? Da lì possiamo ripensare una città più dinamica, che non sia un resort di lusso per anziani benestanti. Che è poi il rischio che corre Como ora, perdendo sempre più dinamicità».

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