Il Carducci: «Parliamo». Ma il sindaco tace

Il caso La presidente dell’associazione convoca il consiglio direttivo dopo il tentativo di sfratto subito mercoledì - Obiettivo: valutare una nuova proposta di mediazione: «Mettiamo davanti gli interessi della città e della cultura»

Como

Resistere sì, ma anche valutare una sortita. La presidente Maria Cristina Forgione ha annunciato ieri l’intenzione di convocare per lunedì il consiglio dell’associazione Carducci, al quale sottoporre una proposta che concili le esigenze di tutti, «a partire da quelle della città e della cultura che, coerentemente allo spirito dell’associazione, hanno precedenza assoluta». La sensazione è quella che la presidente voglia recapitare in Comune una proposta di mediazione che in realtà è stata già depositata informalmente in più occasioni e a più membri dell’entourage del sindaco (sempre che poi l’entourage abbia provveduto a trasmettergliela): è una proposta sulla quale Maria Cristina Forgione non vuole dire nulla almeno fintanto che il consiglio si sarà espresso, ma che dovrebbe soddisfare le ambizioni di trasloco della Fondazione Volta (per la quale si parlava di una nuova sede nel Salone dei Nobel) e quelle del Conservatorio, che avrebbe dovuto entrare negli spazi al piano terra dell’ala più prossima all’ex zoo, progetto apparentemente arenatosi e del quale - in questo fogliettone in cui tutto è misteriosamente misterioso - non c’è stato verso di sapere più nulla.

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Un progetto alternativo?

«Resisteremo - precisa la presidente con la solita verve - ma è anche vero che i margini per una mediazione si possono trovare, sempre che il sindaco sia disposto ad ascoltare». Il nodo è probabilmente questo: è disposto il sindaco ad ascoltare? Alessandro Rapinese non ha finora chiarito - né l’ha fatto ieri, nonostante le sollecitazioni - quale sia il suo obiettivo, se cioè l’atteggiamento della amministrazione (ieri il presidente onorario del Carducci Renato Papa ha parlato di «protervia del tutto inaccettabile» e di «metodi texani») sia conseguenza della volontà di riaffermare il solito principio (paghino tutti) o se dietro ci sia un progetto alternativo, quale appunto potrebbe essere il trasloco di altri enti.

Tre cause giudiziarie

Sullo sfondo incombono le potenziali conseguenze dei vari fronti giudiziari, più d’uno. Tutta la questione - come ormai sanno anche i muri - deriva dal tentativo di annullare gli effetti della scrittura con cui nel 1930 i fondatori dell’associazione donarono all’amministrazione la loro sede, traendone un formale impegno al pagamento sine die delle bollette di luce e gas.

Oggi nelle aule di giustizia giacciono tre cause: la prima è quella con cui il Carducci ha impugnato il provvedimento di sfratto dello scorso aprile, e sulla quale il tribunale si è pronunciato l’altroieri dando la stura al tentativo di presa di possesso da parte del manipolo di emissari comunali guidati dal sindaco, respinti sull’ingresso (il ricorso era stato rigettato ritenendo il giudice che lo strumento giuridico non fosse quello adatto al contesto); la seconda è la causa intentata dal Carducci per usucapione (siamo ancora alla fase della cosiddetta mediazione obbligatoria); la terza è quella che riguarda la mega bolletta, 100mila euro di conti arretrati che già la giunta Landriscina aveva preteso di incassare in barba all’accordo del 1930. I margini di trattativa ci sono, ma ci sarà ancora tanto da lavorare. Così come, probabilmente, ci sarà ancora tanto da raccontare.

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