«Le monete romane? Valgono di più
Ma il ministero non vuole collaborare»

Il caso A sei anni dal ritrovamento del tesoro, resta aperta la disputa sul valore del premio - Non basta la condanna del Consiglio di Stato. Si rischia un nuovo ricorso al tribunale di Como

Como

A sei anni dal loro ritrovamento, le ormai leggendarie monete del tesoro di via Diaz restano salde al centro di un caso giudiziario di cui non si intravede la fine. Il nodo è sempre quello del premio dovuto ai protagonisti del recupero di beni di rilevante valore archeologico, a ciascuno dei quali (proprietari dell’area e scopritori) spetta secondo la legge una dote «non superiore al 25% del valore del ritrovamento».

Già, ma a quanto ammonta il valore del ritrovamento?

Secondo i consulenti numismatici di “Officine immobiliari” (la società guidata dall’imprenditore Saba Dell’Oca cui si devono gli scavi all’ex Cressoni e la successiva scoperta del tesoro), le mille monete valgono una cifra che oscilla tra i 9 e gli 11 milioni di euro, mentre secondo il ministero della Cultura il loro valore supera di poco i 4: a suo tempo, e stante quest’ultima valutazione, il ministero aveva prospettato un “premio” di 270mila euro, pari a circa il 9% della stima, somma che non bastava a coprire né i costi che la srl di Dell’Oca aveva sostenuto per facilitare la campagna di scavi (per un investimento supplementare di circa 300mila euro), né quelli sostenuti per i successivi studi numismatici, 37mila euro regalati alla Soprintendenza perché i suoi esperti potessero opportunamente catalogare, schedare, studiare e “raccontare” un ritrovamento considerato davvero eccezionale.

Sull’argomento, l’ultima sentenza del Consiglio di Stato (quella che tra l’altro aveva dichiarato infondata, da parte del ministero, la pretesa applicazione sul premio di una ritenuta d’acconto del 25%, identica a quella che si applica alle vincite al lotto o a uno qualunque dei giochi d’azzardo di Stato, tipo il Gratta&vinci) sanciva che i consulenti di “Officine immobiliari” avrebbero dovuto essere coinvolti nei lavori per la quantificazione del valore del tesoro.

«Il punto è questo - conferma Sergio Lazzarini, avvocato nonché consulente della srl per tutti gli aspetti storico archeologici della vicenda -. Il Ministero si ostina a non comunicare come l’applicazione dei criteri di stima abbia fatto attribuire alle mille monete il valore di circa 4 milioni e mezzo di euro, che è ben distante da quello stabilito dai nostri consulenti».

A questo proposito, il caso più macroscopico è quello che riguarda le dieci monete dell’imperatore Anicio Olibrio, che per il ministero valgono 40mila euro l’una; Officine Immobiliari avrebbe già ricevuto, per ciascuna di esse, un’offerta di 400mila euro, preludio di una possibile cessione, in sede di asta, vicina al mezzo milioni di euro. Nel 2023 a Zurigo, un semisse d’oro parecchio meno raro e meno pregiato (i semissi erano piccole monete del valore di mezzo asse) fu battuto per 425mila franchi. In altre parole, soltanto le dieci monete di Olibrio varrebbero tra i 4 e i 5 milioni di euro.

Insomma, la trattativa è ferma, né il ministero ha dato fin qui segnali di voler collaborare, nonostante il pronunciamento del Consiglio di Stato. Sullo sfondo, a questo punto, si profila un arbitraggio negoziale; in altre parole la disputa tornerà a Como, il cui tribunale dovrà nominare un arbitro in grado di attribuire al tesoro un valore definitivo. Dell’Oca non ha intenzione di arrendersi: «Abbiamo offerto alla soprintendenza la massima disponibilità fin dal primo giorno. E ora faremo valere i nostri diritti fino in fondo».

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