Condannato a pagare 20 milioni per un bond forse senza valore

La sentenza Non dichiara in dogana titoli di credito del Regno di Romania. Secondo una perizia che aveva con sé varrebbero 70 milioni, maxi sanzione

«Venivo dalla Svizzera, perché ero stato in Credit Suisse a parlare, e andavo a Milano a prendere il volo per la Romania». A scrivere così, su un forum di numismatica, è Loris Mancini. Protagonista di una storia ai limiti dell’incredibile. E, soprattutto, destinatario di una sanzione da capogiro per essere stato fermato alla stazione di Chiasso con dei bond forse senza reale valore, ma che secondo una perizia potevano essere valutati quasi 70 milioni di euro.

Il sequestro

È un venerdì di fine novembre del 2017. Mancini viaggia a bordo dell’Eurocity 17 diretto a Milano. I finanzieri lo controllano. Gli chiedono se ha con sé valori superiori ai 10mila euro. Lui dice di no. Ma nella borsa trovano un titolo di credito emesso dal Regno di Romania nel 1929. Tra i documenti anche un rapporto di perizia di autenticità e un rapporto di valutazione, che stabiliva il valore in oltre 79 milioni di dollari (per un controvalore dell’epoca di 69.756.000 euro). Il titolo viene sequestrato.

La norma è chiara: se non dichiari valuta o comunque titoli di credito equivalenti, scatta una sanzione pari al 30% della cifra che eccede il limite dei 10mila euro.

Sulla base della perizia trovata in possesso al viaggiatore italiano, il ministero dell’Economia e delle Finanze emette così un decreto con il quale condanna il proprietario del bond a pagare 20.923.989 euro. Sanzione diventata definitiva, dopo che la Cassazione ha respinto il ricorso presentato dall’avvocato dell’uomo.

Quel titolo, dal valore nominale di 100 dollari, era stato acquistato nel giugno precedente. La difesa aveva provato a opporsi al sequestro del titolo, prima ancora che alla sanzione, sostenendo che non si poteva equiparare quel bond a valuta. Ma la Cassazione ha dato ragione ai giudici secondo il quale «l’infrazione vlautaria richiede soltanto che i titoli abbiano l’astratta idoneità alla successiva costituzione di rapporti obbligatori». E quindi la presenza, oltre che del titolo stesso, di «perizia, rapporto valutativo, contratto di compravendita deponeva nel senso della negoziabilità» del bond. E «tanto era sufficiente a integrare l’obbligo» di dichiararne il possesso.

Da qui la sanzione da oltre venti milioni di euro.

Il danno e la beffa

A rendere l’intera vicenda incredibile, è il fatto che quel bond, a dispetto del rapporto di valutazione che stimava il valore in 79 milioni di dollari, molto probabilmente non ha alcun mercato. La cifra - ha spiegato lo stesso Mancini - è stata estratta da «un report di calcolo delle somme con interessi calcolato da un commercialista di Stato». Anche perché, come sottolineato ancora da Mancini, «in italia dopo 10 anni dalla scadenza i debiti ed i crediti non sono più esigibili» e quel titolo era scaduto nel 1959.

Una vicenda che sfiora la beffa: vedersi costretto a pagare 20 milioni di ammenda per un titolo che forse ne vale poche centinaia.

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