Dieci mesi a Como e poi il ritorno in Ucraina: «Grazie per l’ospitalità. Qui in patria cadono ancora bombe»

La storia Inna e i suoi figli sono stati ospiti della casa vincenziana di via Tatti e ora sono tornati in patria, non lontano da Kiev, per stare insieme al marito e papà

È passato un anno dall’inizio della guerra. Inna con i sui due figli è stata ospite a Como per quasi dieci mesi. Ora è tornata dal marito in Ucraina, non lontano dalla capitale, a Borodyanka, uno dei paesi più martoriati dall’avanzata russa. L’ansia più grande che l’assilla oggi è la casa, ancora sventrata dalle bombe. La gratitudine che questa donna di 40 anni prova per Como, per la casa Vincenziana di via Primo Tatti che le ha dato ospitalità e in cui ha abitato, si mescola oggi alla speranza di riuscire a ricostruire la sua vita.

«In pace possibilmente – dice lei, Inna Manyluk –. Non voglio arrendermi a credere che nel 21esimo secolo una terra bella e laboriosa come la mia resti ostaggio della guerra. Ricordo bene il 24 febbraio del 2022. Stavo andando in bus al lavoro, verso Kiev, ma l’autista si è fermato dicendo ai passeggeri che i russi avevano iniziato ad attaccare la città. Durante i primi giorni di occupazione a Borodyanka ho pensato che tutto sarebbe finito presto, per via diplomatica. E invece sono dovuta scappare da sola con i miei figli, Artem e Maxim», di dieci e quindici anni.

In poche ore l’aviazione russa ha raso al suolo la cittadina alle porte di Kiev. Usciti dai bunker, senza sapere una parola di inglese e tanto meno di italiano, Inna e i suoi due figli si sono incamminati, verso ovest. Salutati gli uomini della famiglia, tutti chiamati alle armi.

Borodyanka per mesi è stata teatro di massacri, fosse comuni, intere famiglie morte chiuse nelle cantine. «Lungo la strada ho contato i carri armati in arrivo – racconta ancora Inna –. Mi sono fermata a 370, poi ho smesso. Siamo arrivati con un viaggio di fortuna al confine occidentale, a Ivano-Frankvsk, diretti all’estero. Ho scelto l’Italia, per via di una lontana amica della mia madrina Olena. A Roma infatti siamo arrivati in sei, insieme a noi c’era anche lei, Olena con i suoi figli. Quindi la rete di solidarietà ci ha inviato dalla Caritas ed abbiamo conosciuto Alessandra Benedini, della casa Vincenziana di Como. Non ho ben capito cosa stesse succedendo. Avevo paura. Facevo tanta fatica a comunicare. Ma ho capito che i miei bambini erano finalmente al sicuro». Inna usa ancora oggi Google translator, dal cirillico all’italiano.

A Como madre e figli si sono integrati.

La Casa Vincenzana ha accolto più di venti cittadini ucraini, soprattutto donne con bambini. I più hanno fatto ritorno in patria, quasi sempre per riunirsi ai padri o ai mariti sopravvissuti. Chi invece ha perso i propri cari ha tentato di mettere qui radici, cercando un lavoro e una propria sistemazione.

«Grazie a Caritas e alle suore siamo stati accolti davvero in modo familiare – racconta Inna -. Ci hanno aiutato con cibo, vestiti, scarpe, prodotti per l’igiene, cose necessarie. Siamo stati aiutati da tante persone, molti conoscenti di Alessandra. Ringrazio tutte le suore, Elisabetta, Liliana, Silvia. I bambini sono andati a scuola tra via Perti e via Brambilla, vorrei abbracciare tutte le maestre, la mediatrice culturale, i miei figli ci tengono. Como è così bella, mi piacerebbe tornare. Ma qui c’era mio marito e gli altri parenti. Maxim e Artem non hanno mai capito davvero perché loro padre è rimasto a casa. Dividersi è molto difficile».

Ed è difficile anche la vita, adesso, dopo un anno di guerra. Tra cumuli di macerie e una pace tutta da costruire, e la sensazione che la fine non sia ancora così vicina come tanti ucraini, e non solo, sperano ancora.

«La vita è davvero dura e non facile in Ucraina ora – conferma sempre Inna -. Le persone si stanno adattando a un nuovo stile di vita. I prezzi nei negozi sono particolarmente alti, le organizzazioni di volontariato aiutano molto. Non è ancora possibile la ricostruzione delle case, non inizieremo a ricostruire finché ci sarà la guerra. E comunque per comprare una casa serve tanto denaro. Vorrei potermi permettere un alloggio stabile, penso sia il primo passo per dare un futuro ai miei figli. Prima delle bombe avevamo le nostre quattro mura sicure. Farò di tutto per rimetterle in piedi».

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