Dormitorio, tensione e proteste
«Adesso ci restano solo i portici»

Chiusi gli spazi di via Sirtori, ma gli ospiti non volevano andarsene. Poi la “resa”. «Cosa farò? Devo mettermi a rubare». L’operatrice del Sant’Anna: «Sfrattata, ho perso tutto»

Per la serie “prima gli italiani”, eccoli gli italiani sfrattati dal dormitorio di via Sirtori. Sono circa una decina e da ieri sera, al pari dei loro colleghi africani, dormono all’addiaccio.

Vittoria Emanuela Rizzi, per esempio, d’anni 51, comasca, ausiliaria con un contrattino al Sant’Anna, dove negli ultimi mesi ha prestato servizio in tutti i reparti possibili, «soprattutto Covid, dal pronto alla chirurgia 3».

Purtroppo, dice, «io una casa non ce l’ho... Ce l’avevo, avevo una casa del Comune, poi ho perso il diritto, per morosità. E non ho più saputo dove andare. Mi hanno ospitato tutti quelli che potevano. Ora non so dove dormirò, né questa sera né mai, non so dove e se potrò mangiare, dove potrò lavarmi, dove potrò cambiarmi domani per andare al lavoro».

Vicino a lei, di fronte all’ingresso di via Sirtori, c’è Massimo, pure lui italianissimo di quelli che devono venire “prima”, il quale dice d’essere un paziente psichiatrico bisognoso di cure: «Il Comune - brontola agitandosi parecchio - mi dica dove dovrei andare a dormire».

Il clima è incandescente. Ieri mattina nessuno se ne voleva andare. La maggior parte - stranieri e italiani - ha abbandonato il Cardinal Ferrari scegliendo di lasciare in quei locali bagagli e carabattole, roba che in tarda serata era tutta ancora dentro, come a marcare una sorta d’avamposto, ultimo ridotto della speranza. Si riporta qui fedelmente lo sfogo di un ragazzo ghanese che, sempre ieri, in favore di telecamera ha spiegato: «Ora non mi resta che rubare. Andrò a dormire davanti alla chiesa e me ne starò qui fuori dal mercato tutto il giorno ad aspettare che passi una signora qualunque per rapinarla e poi scappare via».

Attorno alle 10 il conducente di una Jeep nera - modello Renegade - ha scatenato il finimondo. È passato via a tutta velocità con il finestrino spalancato, il braccio fuori, il dito medio rivolto verso il cielo. Urla, ululati, lanci di bottiglie infrante in mille pezzi sull’asfalto: «Fermati, figlio di...», eccetera. Forze di polizia nemmeno l’ombra, anche se un presidio sarebbe servito. Peraltro è bastato porre qualche domanda per scoprire che mica tutti gli stranieri assiepati sul marciapiede erano ospiti Caritas. Alcuni arrivano non si sa da dove, attirati - per loro stessa ammissione - dalla prospettiva di fare un po’ di casino. Il pericolo, insomma, è concreto. Nel pomeriggio i “reduci” si sono spostati tutti, o quasi, ai giardini a lago. Anche parlare con il gruppo di italiani sparpagliati ai quattro cantoni della città in cerca di alternative diventa difficile. Hanno tutti un telefono, che però ovviamente si scarica. Ancora Vittoria, l’assistente sanitaria del Sant’Anna: «Se il cellulare mi si spegne devo elemosinare una presa per la ricarica, ma in realtà è raro che qualcuno me lo consenta. Sì, c’è il cinese qui dietro, ma per un po’ di corrente ti chiede un sacco di soldi...». La situazione è surreale. È tutto chiuso causa Covid: le mense, i centri diurni, i servizi pubblici.

Alle 16.30, sotto un cielo che minacciava altra pioggia, sul sagrato di san Francesco c’era già il pienone. Nei prossimi giorni sarà sempre peggio.
S. Fer.

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