Farsa rimborsopoli. Ormai tutto prescritto ma ancora a processo

Vecchi scandali L’accusa chiede ancora condanne nonostante tutti i reati si estingueranno entro un anno. La Cassazione aveva cancellato il reato di peculato

Correva l’anno 2012. A capo della Regione Lombardia era saldamente ancorato Roberto Formigoni, prima dei suoi guai giudiziari. Mario Monti era il capo del governo. L’Italia, in estate, aveva perso gli Europei in finale contro la Spagna. A gennaio al largo dell’Isola del Giglio naufragava la Costa Concordia. E solo due anni prima usciva il primo iPad della storia. Insomma: sembra un’altra epoca rispetto a oggi. Eppure in un’aula di Tribunale, a Milano, il tempo è tornato indietro ad allora, e in particolare a quando le pagine dei giornali si riempivano di notizie sul cosiddetto scandalo “rimborsopoli” in Regione.

Di nuovo in appello

Il procuratore generale di Milano ha infatti chiesto nei giorni scorsi la condanna a carico di molti ex consiglieri regionali tuttora a processo per quella vicenda, accusato di peculato per aver chiesto e ottenuto rimborsi su tutta una serie di spese sostenute, a loro dire, a fini istituzionali: cene, acquisti di libri e di cancelleria, forniture di computer e iPad, qualcuno addirittura il matrimonio della figlia. Tra gli imputati anche Gianluca Rinaldin e Giorgio Pozzi, entrambi rappresentanti di Forza Italia all’epoca al Pirellone. Ed entrambi, da tempo, spariti dall’orbita della politica (e anche questo la dice lunga del tempo passato).

Ma perché dodici anni dopo lo scoppio del caso e anche di più dai reati contestati (tanto che ormai sono quasi tutti prescriti), i giudici sono ancora costretti a occuparsi di questa vicenda e gli imputati sono obbligati nuovamente a ricorrere ai loro legali per difendersi? Perché dopo un’inchiesta lunghissima e un iter processuale ancor più lungo, nel novembre dello scorso anno la corte di Cassazione aveva annullato le sentenze di condanna a carico della stragrande maggioranza dei politici coinvolti. Tra i quali anche tre ex consiglieri regionali comaschi. Ma se per uno, l’allora capogruppo Pd Luca Gaffuri, i giudici romani avevano annullato senza rinvio, per altri due era stato disposto un nuovo processo in Appello, anche se solo per una serie limitati di casi a loro contestati.

La bocciatura in Cassazione

La corte di Cassazione aveva demolito gran parte delle certezze della Procura di Milano e dei giudici che condannarono tutti gli imputati. Innanzitutto sulla questione relativa all’accusa di peculato, per la Cassazione in assenza di «una disponibilità diretta del denaro» da parte del consigliere regionale, e quindi quanto questo deve chiedere il rimborso spese ad altri, non esiste il reato di peculato ma, caso mai, quello meno grave di indebita percezione di erogazioni pubbliche. In questo modo la gran parte dei fatti contestati è risultata prescritta. Sui restanti, appunto, si è tornati a celebrare un processo (sostanzialmente inutile). Per il resto la Cassazione aveva dato ragione agli avvocati degli imputati quando hanno denunciato una «violazione del diritto di difesa per aver escluso i testi a discarico», da qui l’esigenza di rifare in parte il processo. Ma su quest’ultimo punto a Milano l’udienza pare non abbia tenuto conto delle indicazioni dei giudici romani, tanto che l’integrazione probatoria chiesta dalle difese è stata rigettata.

E insomma, a fine ottobre dovrebbe essere emessa la sentenza. Il procuratore generale in udienza ha chiesto numerose condanne, anche se buona parte dei reati sono prescritti. E si prescriveranno del tutto, senz’ombra di dubbio, prima che il caso torni in Cassazione.

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