Ferro, tre mesi agli arresti. Ma non ha commesso reati

Sentenza paratie Il dirigente del Comune riabilitato dalla Cassazione. Come lui anche l’imprenditore Foti, assolto, era stato a lungo ai domiciliari

Ha trascorso l’estate intera del 2016 agli arresti domiciliari, Antonio Ferro, dirigente comunale ed ex responsabile unico del procedimento paratie. Accusato senza mezzi termini di aver «asservito la funzione pubblica a interessi privati», con un «atteggiamento di quasi sudditanza nei confronti dei dictat e dei desiderata di Sacaim», la società che aveva in appalto il cantiere, «perfettamente consapevole delle illegittimità» del suo operato «collusivo e fraudolento». Otto anni dopo la Cassazione ha spazzato via tutte quelle accuse. E assolto nel merito e con formula piena il dirigente di Palazzo Cernezzi.

Assoluzione piena

Il caso Ferro - difeso, nella vicenda paratie, dagli avvocati Giuseppe Sassi e Walter Gatti - è forse il più eclatante, all’interno di una vicenda nata con 18 capi d’accusa e conclusa con zero condanne (anche se pende un rinvio in appello per la vicenda della presunta corruzione sull’allargamento di Salita Peltrera, con imputati Pietro Gilardoni e Antonio Viola). Il dirigente era accusato: di turbativa d’asta per aver frazionato gli incarichi per il progetto della terza variante; falso per aver attestato falsamente la sorpresa geologica nel procedimento dell’Anticorruzione; abuso d’ufficio per aver favorito un’imprenditrice sua amica, due capi d’accusa per abuso edilizio, uno per abuso paesaggistico e uno per deturpamento di bellezze naturale. Risultato: assolto da tutti i capi d’accusa perché il fatto non sussiste (ad eccezione degli abusi edilizi, ambientali e paesaggistici per i quali fin dall’inizio è stata chiara la prescrizione, e quindi mai i giudici sono entrati nel merito).

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La Procura generale di Milano ci aveva provato, anche a carico di Ferro, a far ribaltare l’assoluzione ottenuta in appello, ma la Cassazione è stata categorica: il ricorso era «inammissibile per difetto di interesse». Perché il pubblico ministero non può pretendere che la Cassazione annulli «una pronuncia assolutoria adottata dal giudice perché il fatto non sussiste, qualora nelle more del giudizio di legittimità sia intervenuta la prescrizione». Peraltro lo stesso Ferro ha vinto il ricorso che chiedeva l’assoluzione nel merito, e non l’estinzione del reato per avvenuta prescrizione, sull’unico capo d’imputazione per turbativa d’asta che non lo aveva visto prosciolto con formula piena. La Cassazione ha accolto la tesi dei suoi legali e lo ha dichiarato non colpevole perché il fatto non sussiste.

Contattato ieri per un commento, Ferro - con ferma cortesia - ha deciso di non intervenire. Anche se appare scontato che, a questo punto, il conto che potrebbe presentare alle casse del Comune e a quella dello Stato rischia di essere salato.

L’altra vicenda

Come per Ferro, anche per Giovanni Foti, imprenditore edile di Bulgarograsso, accusato di turbativa d’asta e di rivelazione di segreto d’ufficio dalla Procura di Como nel 2016 e per questo pure lui finito agli arresti domiciliari all’epoca, la Cassazione ha sentenziato una non colpevolezza piena. Confermando quella già sancita fin dal primo grado sulla turbativa d’asta (la vicenda riguarda la comunicazione, da parte dell’allora dirigente Gilardoni, dei nominativi dei concorrenti a una gara d’appalto) sia sul solo reato che gli era rimasto attaccato, quello di rivelazioni di segreto d’ufficio. Su quest’ultimo aspetto la Cassazione ha dichiarato fondato il ricorso relativo «al difetto di motivazione riguardante il mancato riconoscimento della non punibilità per particolare tenuità del fatto». Annullando così la condanna. Ma facendolo otto anni dopo quella fine primavera 2016 in cui sembrava che Palazzo Cernezzi fosse un covo di potenziali delinquenti «asserviti». Così non era. E non è mai stato.

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