Fuga di capitali da 15 milioni, ma per la legge non è reato. Tutti assolti

Spalloni di valuta Auto con doppiofondo, agendine con movimenti sospetti e sequestri d’oro. Dopo dieci anni l’inchiesta naufraga tra prescrizione e previsioni di condanna negative

Suona paradossale leggere nella stessa sentenza da un lato il non luogo a procedere per dieci imputati accusati, a vario titolo, di associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio e riciclaggio, dall’altro la confisca delle auto con doppiofondo trovate in possesso ad alcuni di loro, delle monete d’oro sequestrate ad altri e del rilevatore di onde radio per scovare le microspie piazzate dalle forze di polizia. Eppure tra modifiche normative e complessità di leggi esistenti, è ciò che è successo.

Dopo dieci anni, la maxi inchiesta su un clamoroso giro di denaro e di monete d’oro da e per la Svizzera si è chiusa con un nulla di fatto: nessun colpevole. Una vittoria clamorosa per gli imputati e per i loro difensori, a partire dall’avvocato Giuseppe Sassi (che difendeva tre persone), per passare - tra gli altri - dai penalisti Aldo Turconi, Edoardo Pacia e Angelo Giuliano.

Non è agevole spiegare una sentenza tanto clamorosa quanto, di fatto, inappuntabile. Prima di provarci, una sintesi della vicenda. Tra il 2014 e il 2015 la Guardia di finanza ha scoperto un giro di spalloni di valuta impegnati a far transitare da e per la Svizzera ingenti quantitativi di contanti (e non solo). Denaro che, secondo l’accusa, veniva consegnato a un’organizzazione dedita a occuparsi della fuga di capitali all’estero da risparmiatori italiani allergici al pagamento delle tasse.

Un giro illecito - almeno per la Procura - stimato dalla fiamme gialle in 15 milioni di euro, passati attraverso il valico tra Como e il Ticino in cinque anni tra il 2010 e il 2015.

L’indagine

Principale imputato Ezio Vittalini, originario di Consiglio di Rumo ma residente a Faloppio. Nella sua casa i finanzieri avevano trovato un’agendina in cui segnava ogni cosa: chi, dove, quando. Ma, soprattutto, quanto. Da quell’agendina le fiamme gialle di Ponte Chiasso e la Procura avevano fatto nascere un’inchiesta che, in due anni, aveva portato a identificare 22 persone accusate a vario titolo di riciclaggio e autoriciclaggio (alcuni anche di associazione a delinquere) e a sequestrare contanti reimportati clandestinamente in Italia per poco meno di un milione di euro. Di quelle 22 persone alcune hanno patteggiato. Altre sono state archiviate. Gli ultimi dieci sono quelli comparsi davanti al giudice delle udienze preliminari di Como, Elisabetta De Benedetto. E qui veniamo alla sentenza.

La sentenza

Innanzitutto il fascicolo è stato sballottato in giro per l’Italia. Negli anni passati due giudici comaschi avevano accolto l’eccezione di incompetenza territoriale presentata dai difensori e avevano spezzettato il fascicolo mandando a decine di Tribunali. La Cassazione ha stabilito, dopo un paio di anni, che no: la competenza era effettivamente di Como. E i faldoni sono così tornati a casa.

Ma intanto di tempo ne è stato sprecato e non poco, al punto che l’accusa di associazione per delinquere è finita in prescrizione.

Per quanto riguarda il reato di riciclaggio, il discorso è differente. Qui entra in gioco la riforma introdotta dalla Cartabia un paio di anni fa. In buona sostanza la norma introdotta di recente prevede che quando il giudice delle udienze preliminari ritiene non vi sia una ragionevole previsione di condanna, deve dichiarare il non luogo a procedere. In questo caso o dubbi su una sentenza di condanna sono legati in parte dal fatto che, ora che il fascicolo arrivi in dibattimento e poi in Cassazione, passerebbe così tanto tempo che molti reati cadrebbero in prescrizione. In parte perché manca il cosiddetto elemento presupposto, per giudicare il riciclaggio. Ovvero: bisogna avere la prova che quel denaro fosse provento di delitto, ma le condanne per evasione fiscale dei “risparmiatori” il cui nome era sull’agendina di Vittalini non ci sono (molti hanno preferito transare con il fisco).

Resta la scarna soddisfazione, per l’accusa, della confisca di auto con il doppiofondo, delle monete d’oro e di poco altro. Per il resto tutti i soldi sequestrati dovranno essere restituiti agli imputati.

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