Cronaca / Como città
Mercoledì 25 Settembre 2024
Fuga da Como, in un anno via in 3.200
I numeri I dati Istat sul 2023 rivelano che il 3,8% della cittadinanza comasca si è trasferita altrove, tra estero e Italia. Negli altri capoluoghi i trasferimenti sono meno
Le previsioni pubblicate da Istat sull’andamento della popolazione nei capoluoghi italiani, che hanno messo in luce il trend negativo che potrebbe caratterizzare la dinamica della popolazione comasca di qui al 2043 (un unicum tra i capoluoghi regionali, per i quali si prevede in tutti i casi, tranne Como, una crescita), sono realizzate prendendo come base di partenza quella dell’anno 2023, rispetto al quale si dispone di dati storici e non di previsioni.
Tanti all’estero
L’analisi della dinamica demografica nel 2023 rivela che la percentuale di persone che ha lasciato Como è pari al 3,8%, ovvero il numero di residenti che hanno scelto di trasferirsi altrove ammonta a 3.168 (su un totale di 83.752 a fine anno).
Non solo, dai dati emerge anche quanti di loro sono andati all’estero (444), quanti hanno optato per un trasferimento in altre regioni (568) e quanti invece sono rimasti in Lombardia, ma hanno preferito altri Comuni (2.175, il dato più considerevole). Il set di dati fornit da Istat - la pubblicazione risale alla fine di luglio di quest’anno - infatti permette di confrontare i numeri di Como con quelli di altri comuni di grandi dimensioni in provincia: a Cantù, per esempio, la percentuale di persone cancellate dall’anagrafe è 2,5% (1.032 cittadini su un totale di 39.946, alla fine del 2023); a Mariano Comense la percentuale è 2,8% (726 persone hanno lasciato il Comune su un totale di 25.508 residenti); Erba, infine, ha avuto una percentuale di cancellazioni all’anagrafe per trasferimento del 3,34%, il dato più vicino a quello del capoluogo (16.173 residenti a Erba a fine 2023, con un totale di 726 trasferimenti nell’arco dell’anno).
Gli altri capoluoghi
Il dato è significativo non solo di per sé, ma anche alla luce della previsione ventennale sviluppata da Istat con una metodologia riconosciuta a livello internazionale e ricorrendo al cosiddetto modello per componenti (“cohort component model”), secondo il quale la popolazione, tenuto conto del naturale processo di avanzamento dell’età, si modifica da un anno al successivo sulla base del saldo naturale (differenza tra nascite e decessi) e del saldo migratorio (differenza tra movimenti migratori in entrata e movimenti migratori in uscita).
Quest’ultimo dato, ovvero il numero di persone che lasceranno la città, nel caso di Como, se confrontato con il dato reale del 2023 spiega la previsione rispetto al 2043, quando la popolazione totale della città potrebbe ridursi del 3%. Lo dimostra il fatto che, sempre l’anno scorso, negli altri capoluoghi lombardi la percentuale di cancellazioni dall’anagrafe per trasferimento è stata inferiore.
A Cremona solo il 2,5% della popolazione totale si è trasferito, a Milano il 2,6%, a Lecco il 2,9%. Per Pavia, capoluogo che ha registrato una percentuale di registrazioni all’anagrafe identica a quella comasca, 3,8%, la previsione di Istat di qui a vent’anni sulla dinamica demografica è decisamente più ottimistica: si ipotizza infatti una crescita dei cittadini pari a +5,8% contro il -3,3 % comasco. È possibile dunque che anche Como, partendo da un’identica percentuale di trasferimenti, riesca a invertire il trend ed evitare la decrescita ipotizzata?
Difficile invertire il trend
«Le dinamiche strutturali di migrazione interna sono molto difficili da contrastare» spiega Stefano Baia Curioni, docente del dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’università Bocconi e membro del consiglio di amministrazione della Fondazione Ratti, a Como.
«Serve creare una forte integrazione sociale, tenendo a mente la rigenerazione del territorio. L’amministrazione comunale da sola non può farlo, ha bisogno di un supporto collettivo». Il docente della Bocconi sottolinea come il trasferimento dei giovani sia inevitabile: «Ed è un bene che si spostino, l’importante però è riuscire a essere attrattivi per farli rientrare. Questo significa realizzare politiche di sostegno alle famiglie e ai bambini. Ma serve una gestione della città che esuli dall’ordinaria amministrazione».
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