I “maranza” a Como: nike, borsello, tuta
e voglia di fare guai

Il fenomeno Un termine degli anni ’80 oggi attualissimo. Giovani con modi di fare sfrontati e talvolta aggressivi raccontati dai ragazzi che li frequentano e conoscono

Chi li osserva da vicino e si mescola a loro spiega che i “maranza” si distinguono più per l’atteggiamento che per l’estetica. A parlare, rispondendo alla domanda «ma chi sono i maranza?», è un gruppetto di ragazzi che frequentano il centro diurno SoStare, organizzato dalla Fondazione Somaschi Onlus. La parola (comparsa a fine anni ’80 ma inserita da poco nell’elenco delle parole nuove dell’Accademia della Crusca e ormai iper utilizzata dai media), identifica già di per sé un background sociale. Deriva, infatti, dall’unione di due termini: il gergale “zanza”, che identifica una persona furba, spesso un truffatore di piccolo calibro o un ladro di strada, e “marocchino” dall’altro. «Di qui maranza - spiegano i ragazzi - Tanti hanno i genitori del Marocco o comunque nordafricani, come si capisce dai capelli ricci. Ma tanti sono italiani». Un termine al centro del dibattito sui giornali in questi giorni, dopo la minaccia (rivelatasi un flop) da parte dei “maranza del nord” di «invadere Napoli» in occasione della partita contro l’Inter, giocatasi ieri.

Dai 13 anni in poi. «E qualcuno diventa un vero criminale»

Ma anche l’età è un elemento cruciale nella descrizione del fenomeno: maranza si diventa intorno ai 13 anni, nel periodo che segna il passaggio tra le scuole medie e le superiori. Poi si continua a esserlo a lungo, anche per anni, finché o si cambia, o si supera quel limite che separa i maranza dai criminali. «I primi si vogliono mettere in mostra – spiegano i ragazzi di SoStare – Mentre i criminali vogliono passare inosservati. Non tutti i maranza diventano criminali veri e propri». Ma, se lo fanno, il loro atteggiamento cambia. Perché il look, pur importante, non è la sola cifra distintiva del maranza.

Anche l’atteggiamento conta. E i ragazzi lo riassumono così: «Infastidire l’altro per il puro gusto di farsi notare». Motivo per cui i punti di ritrovo favoriti sono quelli in piena vista: le piazze, come l’ormai bazzicatissima piazza Volta, ma anche gli angoli di città dove è più facile dare spettacolo. I portici Plinio, per fare un esempio.

Non è solo questione di vestiti

E questi sono i luoghi in cui dare sfogo a quella voglia di trasgredire che caratterizza i maranza. «Alcuni spacciano davvero – commentano i ragazzi -, oppure commettono piccoli furti per potersi permettere abiti firmati. Altri, invece, fanno finta sempre per apparire, solo perché fa figo. Fa brutto». L’apparenza è il fulcro di tutto e infatti per il maranza il look è fisso. Look che fior fiori di esperti (ma anche di video virali su TikTok) cercano di sintetizzare in un trittico: tuta, borsello e Nike. Non Nike qualunque, ma il modello Tn. Mentre per la tuta si prediligono quelle associate a squadre di calcio, «e non importa se non le tifi». Così come il borsello, che spesso è vuoto, ma se possibile, è griffato. Il marchio del maranza, in fondo, è proprio la marca (o la versione fake): Louis Vuitton, Gucci, Blauer, Ralph Lauren ecc.

«Chi nega di esserlo di solito lo è»

Ma i maranza si vergognano di esserlo? «Chi dice di esserlo, in un certo senso, non lo è, chi invece lo nega lo è davvero», concludono i ragazzi del centro che, quando gli viene chiesto se si sentono tali, scoppiano a ridere Non mancano però, sotto il tavolo, le Nike Tn e sopra i borselli. «La musica invece c’entra poco - aggiungono - Conosciamo persone tranquille che ascoltano la trap e altre, più trasgressive, che non la ascoltano mai. Son gusti».

Il fenomeno poi si estende anche alla sfera femminile e le “baddie” sono letteralmente le cattive ragazze. «A loro piacciono i maranza e anche loro vogliono farsi vedere, anche se in un altro modo. E anche loro hanno un certo modo di vestire: leggins attillati, vestiti griffati e, se possibile, outfit neri. Un po’ come Anna Pepe o Rosa Ricci, di Mare Fuori».ù

La parola agli esperti: il desiderio di identificarsi

Jovanotti cantava, già nel 1988 «Mi chiamo Jovanotti e sono in questo ambiente / di matti di maranza e di malati di mente / fissati con le moto e coi vestiti americani / facciamo tutto ora o al massimo domani».

«Attenzione a non generalizzare: i singoli gesti criminali devono essere giudiciati sull’individuo»

Ma è solo negli ultimi due anni che la parola maranza ha preso a indicare uno specifico gruppo di giovani e giovanissimi. «Ai miei tempi c’erano i paninari, poi ci sono stati gli emo e così via», commenta Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta in uscita il 25 marzo con un nuovo libro “Chiamami adulto. Come stare in relazione con gli adolescenti” (Raffaello Cortina). «C’è da sempre negli adolescenti una tendenza all’omologazione e alla costruzione della propria identità all’interno di un gruppo, per sviluppare un senso di famiglia anche se nella separazione dalla famiglia, per sperimentare parti di sé alternative alla propria origine». Lo psicologo però evidenzia anche come modi e linguaggi di questa costruzione dell’identità si adeguino alle diverse epoche: «In passato c’erano le appartenenze politiche, oggi i maranza ci parlando di un bisogno di integrazione, ma anche di una società dell’immagine, del bisogno di essere popolari, di successo e pieni di soldi».

Non sempre e non per forza, spiega però Lancini, questa dimensione dell’esasperazione della propria immagine e del proprio comportamento porta alla violenza. «Gli ultimi dati ci dicono che uno dei temi più preoccupanti è l’abbassarsi dell’età media del primo reato. L’atto fuori legge, però, deve sempre essere giudicato individualmente. Quando hai un gruppo di giovani è vero che questo può deviare. C’è una grande disperazione, un bisogno di farsi vedere, ma poi i singoli gesti criminali devono essere sempre giudicati sull’individuo».

E qualcuno sfocia nella violenza

Un libro sull’adolescenza... e su quei “ragazzi cattivi”

«Essere figli chiede sempre la possibilità della rivolta», così nel suo libro “Agio o disagio. Domande e risposte sulla sfida di crescere” (Edizioni Ares, 2024), Luigi Ceriani, piscologo e pedagogista, affronta il tema dei “ragazzi cattivi”, spesso evocati quando si parla di maranza. «Il compito dell’adulto è proporre, ma la libertà del figlio può coincidere anche con la drammaticità della fuga e con la scelta più o meno consapevole della violenza distruttiva - scrive -Stiamo assistendo a un rigurgito di criminalità adolescenziale e giovanile (valga su tutti il fenomeno delle baby gang e dei loro riferimenti criminali e criminogeni) che rappresenta l’espressione di ragazzi che, o per origini socio-familiari o per scelta, punta unicamente all’esibizione di sé attraverso l’esercizio del potere della violenza».

Non vale per tutti, ma anche nel Comasco , in seguito a fatti di cronaca avvenuti sul territorio, questa tendenza viene associata a giovani particolarmente violenti. «Nel fenomeno dei maranza - commenta Ceriani - c’è un’omologazione che, avendo a che fare con adolescenti particolarmente fragili, può, ma non è una regola, esprimersi anche così. In questi casi però non serve indulgenza. La scuola, in particolare, può avere un ruolo nella prevenzione, in quanto unica agenzia educativa che resiste».

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