I tre anni di guerra e le voci del filo diretto
tra Kiev e Como

Anniversario Il racconto di chi è arrivato qui nel 2022 . E da un viaggio in Ucraina le testimonianze di chi rimane sotto i missili: «Paura e stress, ma resistiamo. Lottiamo per la libertà»

Era il 24 febbraio 2022, una mattina fredda come l’inverno dell’est sa essere, quella in cui l’assalto russo all’Ucraina è iniziato, tre anni fa. «L’invasione ha travolto completamente il mio paesino, il luogo dove sono nata - racconta Alla Pedrenko, arrivata a Como con i suoi due figli a marzo di quell’anno - Vivevo a Chernihiv (città dell’Ucraina settentrionale, ndr) e mia mamma si trova ancora lì. È anziana e fatica anche comunicare per telefono... mi preoccupo ogni giorno per lei».

Accolti nel Comasco

Il pensiero di chi se ne è andato e ora vive a Como, nel ripensare a questi tre anni di guerra corre veloce a chi, invece, è rimasto in Ucraina.

Valentina, prima della guerra era una maestra di musica, e oggi da Como pensa ai suoi studenti. «Tanti sono andati al fronte e sono morti» racconta con gli occhi lucici. «Me ne sono andata con mio figlio di 14 anni, perché la guerra porta via tutto, anche il lavoro. Però mia figlia è rimasta: il suo fidanzato potrebbe essere chiamato al fronte in qualsiasi momento e lei non vuole abbandonarlo».

Viaggio nella capitale

Scegliere di andarsene, come ha fatto un’altra famiglia arrivata in città dal Donetsk, una delle regioni occupate dai russi, è tanto difficile quanto scegliere di rimanere. Ma tra chi fugge e chi resta, c’è un filo sottile eppure resistente come l’acciaio. Lo si sperimenta passeggiando per le vie di Kiev a pochi giorni dal terzo anniversario dell’invasione.

Nella capitale la vita va avanti, ma è costantemente messa alla prova dai sacrifici che la guerra esige. «Per 86 giorni, nel 2022, non ho avuto notizie da mio padre né da mia nonna, bloccati a Mariupol sotto l’assedio dell’esercito russo», racconta Darina Balachina, studentessa di psicologia di soli 21 anni. «Ho scelto di studiare psicologia anche per loro, perché sapevo che sarebbe stato difficile affrontare le conseguenze dell’accaduto. Ora loro vivono lì e siamo separati, chissà quando li rivedrò».

A pesare sull’equilibrio mentale degli ucraini, a Kiev ma soprattutto nelle città più vicine al fronte, sono i continui allarmi che ogni notte - e più volte a notte - riempiono il silenzio della città, dove da mezzanotte vige il coprifuoco, per avvertire di potenziali droni o missili.

«Difficile andare a scuola la mattina, se di notte resti sveglio per il rumore dei missili»

Non solo una precauzione, perché quei missili e droni spesso arrivano. L’allarme allora è solo l’inizio; poi le esplosioni in rapida successione riempiono lo spazio e la mente, rendendo impossibile prendere sonno, costringendo a rifugiarsi lontano dalle finestre e nei bunker. In molti, però, dopo tre anni di guerra scelgono di stare a letto e sperare nella fortuna. «È così, ormai gli allarmi sono troppo frequenti per andare nei rifugi ogni volta - racconta Anastasia, studentessa di 17 anni, passeggiando per Boyarka, centro appena fuori dalla periferia di Kiev - Ma andare a scuola la mattina dopo , se hai passato tutta la notte sperando che i missili non cadano vicino a casa tua, è difficile».

A Buča, altra cittadina alla periferia opposta di Kiev, quella settentrionale, la guerra ha inflitto le ferite più feroci. Dopo l’occupazione russa durata fino al 31 marzo 2022, si è deciso di guarire e ricostruire. «I russi hanno usato la nostra sede come base militare - racconta Diana Pridma, che lavora al Plast Educational Center, sede locale degli scout - Ma noi l’abbiamo rimessa in sesto per i giovani. C’è anche un gruppo di supporto psicologico per le famiglie che hanno cari al fronte. E sono tanti gli amici morti combattendo. Ma resistiamo e lottiamo insieme per difendere la cosa più preziosa». Una priorità che da tre anni a questa parte per gli ucraini e chi li supporta non è cambiata: la libertà.

Il prete della comunità ucraina a Como

«Come comunità questo per noi è un anniversario doloroso - commenta don Mykola Shcherbak, prete della comunità ucraina di Como, al termine della celebrazione di ieri a San Domnino - Ci sono tanti nostri famigliari e amici che sono rimasti in Ucraina e saperli lì è un grande peso. Soprattutto in questi giorni le notizie ci fanno pensare che la speranza venga meno».

«La nostra forza sta nel rimanere uniti»

Don Mykola ha pregato anche ieri, insieme a una ventina di fedeli, per chi dalla guerra è stato ferito e per chi tuttora la subisce. «Noi come comunità di cristiani cerchiamo di vivere nella speranza de nostro Signore... questo è l’anno della speranza e ci affidiamo quindi a Dio, che governa la Storia». Fondamentale, in questi tre anni di guerra e per molti di lontananza da casa, il sostegno della comunità così come della città. «Nell’unità è la nostra forza. Qui a Como è arrivata una famiglia di Berdyans’k, città che ora si trova nelle zone occupate dalla Russia, fin dall’inizio dell’invasione su larga scala. Loro hanno parenti rimasti lì e sono in una situazione difficilissima».

Fondamentale per don Mykola anche il sostegno della città: «Qui abbiamo trovato molto supporto, conosco vari gruppi di volontari che tuttora continuano ad andare anche al fronte a portare aiuti. Cerchiamo di stare insieme, vicini, affidandoci». Oggi alle 10, in Duomo, si terrà una preghiera per la pace in Ucraina.

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