Il cameraman tra i morti di via D’Amelio oggi vive a Como: «Spensi per sempre la telecamera»

Il ricordo Massimiliano Messina, oggi infermiere al Sant’Anna, fu dopo Capaci anche sul luogo dell’attentato a Borsellino: oggi ce lo racconta, con dettagli ancora nitidi nella sua memoria

«In quei giorni giravamo con il cercapersone in tasca. Sapevamo, sapevano tutti, che stava per succedere di nuovo qualcosa. Così, quando quella domenica mi chiamò l’editore dicendo di raggiungerlo subito perché c’era stato un attentato, capii subito».

Massimiliano Messina, siciliano, oggi è infermiere in Medicina al Sant’Anna. Arrivò a Como nel 2000. Di lui abbiamo scritto solo 57 giorni fa in occasione del ricordo per la strage di Capaci dove fu il primo ad arrivare, lui che – all’epoca 25enne - lavorava per una emittente locale, Rete 6, che collaborava con Mediaset. Era un cameraman. Ed ovviamente la chiamata arrivò anche il 19 luglio per via D’Amelio dove un’autobomba aveva appena polverizzato le vite del giudice Paolo Borsellino e della sua scorta, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

«Conoscevo Borsellino: rappresentava il futuro per la mia Sicilia»

«Conoscevo Borsellino – dice oggi Messina – Avevo fatto spesso conferenze stampa in cui c’era lui. Poteva sembrare cupo e chiuso ma invece con noi era aperto e sempre disponibile, oltre che sorridente. Rappresentava il futuro e l’avvenire per la mia Sicilia». Eppure, «dopo Capaci avevamo perso il sogno, sapevamo che Falcone e Borsellino erano a rischio ma a noi parevano intoccabili». Così non fu. «L’aria dopo Capaci era irrespirabile – prosegue Messina – Lo sapeva anche Borsellino di essere nel mirino. Però, più i giorni passavano più ci illudevamo che il peggio potesse essere alle spalle…».

Poi, domenica 19 luglio, nel pomeriggio, il cercapersone squilla. «Ero con la mia compagna di allora (oggi sua moglie e neomamma del loro figlio, ndr) e con degli amici – ricorda – Mi dissero di andare in via D’Amelio perché c’era stato un attentato. Capimmo subito. Il mio editore non mi fece il nome di Borsellino, ma sapevamo che li abitavano dei parenti. Non portai a casa la mia ragazza, non avrei fatto in tempo. Passai a prendere le mie cose e lei venne con me. Dopo via D’Amelio non mangiò per giorni. Fu talmente sconvolta da quello che vide che non si sentì bene e fu soccorsa».

«Via d’Amelio fu diversa da qualsiasi altra cosa avessi ripreso»

Massimiliano Messina aveva ripreso circa una trentina di omicidi di mafia, compresa la strage di Capaci. «Ripresi anche l’assassinio di un ragazzo che conoscevo, trovato crivellato in strada, con cui avevo bevuto una birra la sera prima». Eppure via D’Amelio fu diversa da tutto. «Per certi versi fu peggio di Capaci – continua – Il punto in cui perse la vita il giudice Falcone era in autostrada, qui invece eravamo nel centro di un quartiere con palazzi alti tutto attorno che erano stati letteralmente sventrati. Ricordo il fumo denso che copriva il sole, l’aria irrespirabile, le auto distrutte e ribaltate. Una molla di una sospensione era arrivata fino all’ottavo piano di un palazzo». E poi il cratere dove si trovava l’autobomba, una Fiat 126. «C’erano resti umani ovunque. Venivano coperti come si poteva, con lenzuoli. Gran parte di quello che girai quel giorno per Mediaset non fu mai mandato in onda, le immagini erano troppo forti. Quello che fu quel giorno via D’Amelio può essere descritto solo con la parola inferno».

In un video alcuni spezzoni di quel giorno infernale

La voglia di dire basta all’orrore

Eppure, a rimanere impresse nella mente di Messina, oltre alla devastazione, furono le persone. «C’era disperazione ma anche, negli occhi, una scintilla che dopo Capaci non c’era stata. La voglia di dire basta a quell’orrore. Ricordo un uomo che batteva il capo contro il muro, una madre cinquantenne che stringeva il figlio piangendo, la gente affacciata ai palazzi. I palermitani erano inferociti contro lo Stato, contro chi non aveva impedito quello che era accaduto».

«Quel giorno decisi che per me era arrivato il momento di cambiare. Rimasi un’ora e mezza in via D’Amelio. Poi ripresi la mia ragazza e me ne andai. Ma dentro di me avevo già deciso che avrei spento per sempre la telecamera».


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