«Il nuovo stadio dovrà essere per tutti. Decisivo il dialogo tra società e Comune»

Sinigaglia L’architetto che ha studiato gli impianti di Roma e Venezia, comasco d’adozione: «La burocrazia può creare lungaggini e confusioni. Servono collaborazione e unità di intenti»

«L’aspetto più difficile quando si progetta un luogo come uno stadio è il tipo di reazione che quel progetto suscita». Parola di Steven Scamihorn, architetto americano che da ventiquattro anni risiede in città e già project manager per proposte di riqualificazione rivolte sia allo stadio della Roma che a quello del Venezia.

«Suscita forti reazioni emotive»

«È un interesse diffuso anche tra chi non segue il calcio - racconta Scamihorn, che dopo gli studi negli Stati Uniti, e poi esperienze di lavoro in Belgio e in Austria, ha avviato a Milano l’azienda Bear project management, nel 2001 - Le reazioni emotive dei cittadini sono forti. Tutti vogliono, giustamente, dire la propria nel dibattito intorno allo stadio».

Un dibattito che a Como è caldo in questi giorni, a stretto giro di posta dalla presentazione delle prime immagini di quello che potrebbe essere il futuro Sinigaglia, ma che è stato preceduto negli anni da una diatriba di radici ben più antiche. Quella sullo stadio in centro o in periferia. «La posizione dello stadio, per quanto mi riguarda - prosegue l’architetto -, prescinde dalla bontà del progetto. Quello che posso raccontare è cosa significa lavorare a un progetto simile». L’esperienza fatta a Roma e Venezia (in entrambi i casi la riqualificazione degli stadi si è arenata prima della conclusione, per cambi di proprietà all’interno delle società calcistiche), infatti, ha portato Scamihorn a individuare gli “ingredienti” essenziali per questi percorsi. «Sono opere che richiedono grande impegno e tempo, ma soprattutto collaborazione tra le parti: bisogna tenere insieme i vari attori coinvolti. Nel caso di Como, l’edificio è di proprietà dei cittadini, quindi l’amministrazione deve curarsi anche che il progetto sia fatto nel loro interesse».

«Non solo Hollywood»

Meno ostiche invece le difficoltà tecniche che sono «in un modo o nell’altro, spesso risolvibili», come l’eventualità (suggerita in questi giorni da alcuni detrattori dell’attuale concept del futuro stadio) di dover scavare per non occupare più spazio nell’area: «Allungherebbe i tempi e accrescerebbe i costi, ma non è impossibile».

Mentre molto più complesso è fare sintesi delle esigenze in campo. Un dato da citare, secondo il project manager, è l’affidabilità dello studio scelto dal Como 1907. «Conosco Populous e ho collaborato con loro. Sono architetti di grande esperienza nello sviluppo di impianti sportivi». Il Sinigaglia però non è privo di criticità, a partire dalla scala dell’edificio, cui Scamihorn ritiene si debba prestare attenzione affinché si rapporti nel modo giusto con i monumenti circostanti. «Abbiamo visto immagini a volo di piccione e dall’interno, come è giusto che sia, perché è quello che vogliono i tifosi, ma sarebbe bello avere un rendering di come sarà la percezione dello stadio passeggiando all’esterno». E anche la burocrazia non aiuta in situazioni come questa. «La burocrazia italiana è famosa in tutto il mondo - scherza infatti -. Lavoro con molte realtà internazionali e c’è una complessità in Italia che è legata al patrimonio storico e architettonico, che va protetto. La mia esperienza però è che la burocrazia crea confusioni e lungaggini che non fanno bene».

Ciò che affascina in particolar modo l’architetto, invece, è la possibilità di rendere il Sinigaglia «un luogo per tutti». «Parliamo di un edificio pubblico in una città viva, piena di cittadini che alla partita non vanno. Sarebbe bello se il progetto pensasse anche a loro, spero sia così. Da cittadino anche io, sogno uno stadio che offra spazi alle famiglie, dove poter passare del tempo all’aria aperta e con vista lago. Le immagini del lusso e i richiami di Hollywood sono belli ma passeggeri. Bisogna mantenere lo stadio nel cuore delle persone. Spero che Como 1907 lo faccia».

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