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(Foto di archivio)
L’inchiesta È comasco l’uomo chiamato “l’imperatore”. Intanto la Procura lariana chiude un maxi fascicolo. Sequestrati dalla Finanza anche 1,2 milioni in contanti
È comasco il “re Mida” a cui l’ufficio delle Dogane svizzere contesta un clamoroso giro d’oro di contrabbando tra Italia e Germania, passando dal Liechtenstein e dalla Confederazione elvetica con ramificazioni anche in Ungheria. Il suo è uno di quei nomi che, se lo pronunci davanti a un finanziere esperto di storie di valico, fa immediatamente alzare il livello dell’attenzione: Massimiliano Brocai, 65 anni, nato a Como, dal 2020 formalmente residente in Canton Ticino. È lui il principale indagato sui due lati del confine italo-svizzero per un’operazione che, a Como, aveva preso il nome di “Imperatore d’oro”.
Di questa inchiesta avevamo scritto la scorsa settimana. Ora siamo in grado di fornire dettagli ulteriori, a iniziare da un dato tutt’altro che trascurabile e cioè che le Fiamme gialle del Nucleo di polizia economico finanziaria di Como sono riuscite a recuperare, nel corso dell’indagine, ben 76 chili d’oro nonché contanti per 1,2 milioni di euro e monili e pietre preziose per un valore superiore ai centomila euro.
Come raccontato nella precedente puntata, l’indagine ha preso il via da un sequestro in Liechtenstein, quando a Vaduz la polizia ha intercettato un passaggio di lingotti d’oro da un’auto all’altra. Quel sequestro ha fatto scattare un’indagine che ha coinvolto non solo il piccolo principato, bensì anche la Germania (paese di destinazione del metallo prezioso) e la Svizzera. Proprio la richiesta, da parte del Liechtenstein, di assistenza giudiziaria alle autorità italiane ha fatto scattare l’indagine della Procura di Como (avviata dal pm Mariano Fadda e conclusa dal pm Michele Pecoraro). Il fronte italiano aveva consentito di ipotizzare un giro tra Italia e Svizzera pari a 30 chili d’oro di media la settimana. Il sistema ideato, secondo la ricostruzione fatta dai finanzieri, era basato su un doppio binario. Da un lato il passaggio di ingenti quantitativi d’oro da fondere che, in nero, passavano dall’Italia alla Svizzera grazie agli spalloni locali. Dall’altro l’esigenza delle società svizzere che fondevano l’oro trasformandolo in lingotti di poterlo giustificare. Da qui la creazione di società in Ungheria e in Slovacchia che emettevano fatture di fatto false riferite alla vendita di carichi d’oro, salvo poi occuparsi del rientro in Svizzera dei soldi bonificati sui conti delle società stesse.
A capo dell’organizzazione tre comaschi, secondo l’indagine lariana. Su tutti il già citato Massimiliano Brocai, il quale avrebbe gestito il giro d’affari assieme a Ivan Arnaboldi, 64 anni di Maslianico (ma pure lui residente in Ticino), e Paolo Lurati, 51 anni comasco domiciliato a Lenno ma residente a Budapest.
Della banda, come presunti esecutori delle direttive impartite dal vertice, Rossano Tomassini, 72 anni di Alta Valle Intelvi e Luigi Mottola, potentino con casa a Budapest. Quindi gli spalloni d’oro verso la svizzera e di valuta verso l’Italia: il comasco Giampietro Ferrari, domiciliato a Campione d’Italia, il siciliano Angelo Pappalardo, il lecchese Davide Bartesaghi di Annone Brianza e infine il toscano Adriano Giusti, referente per l’approvvigionamento d’oro nell’aretino.
A loro carico la Procura di Como ha notificato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari, in attesa di decidere se procedere oltre e portare il caso davanti a un giudice. Così da formalizzare l’incoronazione dell’“imperatore d’oro”.
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