Il vescovo nel tradizionale Messaggio alla città: «Turismo umano, non ci travolga»

Como La vocazione e la cura di Como nelle parole del cardinale Oscar Cantoni, in occasione della festa di Sant’Abbondio

Una città che sappia costruire un turismo umano e accogliente, e che veda i pericoli di un fenomeno troppo massivo e indiscriminato, riuscendo a mettere in campo risorse e competenze per gestirlo.

È il tema del messaggio che il vescovo di Como, cardinale Oscar Cantoni, ha rivolto alla città ieri 30 agosto in Sant’Abbondio in occasione dei Vespri che precedono la festa del patrono. Nella basilica gremita anche le autorità civili e militari. Al termine della preghiera monsignor Cantoni ha benedetto il cero del Palio del Baradello.

«Mi auguro che queste mie riflessioni, orientate quest’anno a scoprire la dimensione turistica della città, con tutto ciò che implica circa l’accoglienza, possano suscitare un sano dibattito e ulteriori confronti - ha detto il vescovo - Nessuno ha in tasca la verità: abbiamo bisogno di aiutarci umilmente a cercarla e a suggerire soluzioni eque».

L’anima delle città

Le città trovano nella propria storia le tracce di una specifica vocazione, hanno «una loro anima e un loro destino», ha detto citando Giorgio La Pira, storico sindaco di Firenze.

«In questo dialogo con la nostra città mi chiedo allora: Como, qual è la tua anima? Quale la tua vocazione? Sei città di confine e di scambi, via di commerci vicini e lontani, terra di imprese e di incontri, luogo desiderato e tanto visitato, ricca di bellezze, di storia e di natura. Circondata da un incanto che dalle tue verdi montagne si riflette nelle mille sfumature di blu del tuo lago. Secoli di storia e di cultura si possono ravvisare nei tuoi monumenti e nelle tue chiese, nella tua grande e artistica Cattedrale. Città di imprese e di lavoro, di studio e di ricerca. Oggi anche sede di una università giovane e vivace, di tante scuole, del Conservatorio, di Accademie. Città di musei, di teatri e di cinema, luoghi di incontro e di socialità. Città ricca, anche molto ricca, ma non senza le sue contraddizioni».

Ma Como è anche e soprattutto la sua gente, il suo popolo impreziosito da tanti uomini e donne di cultura e di scienza, di fede e di storia, fra i quali il vescovo ha voluto ricordare anche «due sacerdoti che hanno onorato con la loro vita e con la loro morte la nostra Città: don Renzo Beretta e don Roberto Malgesini».

«Ogni città è, infatti, anzitutto il suo popolo - ha proseguito monsignor Cantoni - Città, fin dalla sua etimologia, richiama il “cives”, il cittadino, e si definisce così come il luogo dei suoi cittadini, la Comunità di chi la abita. E allora mi chiedo: Como, di chi sei? Dove sei comunità di Como? Si potrebbe ancora parlare di Città quando questa non fosse più il luogo dei suoi cittadini? Una città non è di pochi che la possiedono o la governano, ma non è neppure di nessuno. È invece di tutti, perché tutti, come cittadini e cittadine, siamo chiamati a partecipare. Tutti, insieme, a prendercene cura nell’ascolto reciproco e nella collaborazione. Non spazio anonimo, “cumulo di pietre”, ma relazioni, luogo di vita, intreccio di persone. Ecco cos’è una città, ecco cosa non può rinunciare ad essere».

In questa comunità è cresciuto negli ultimi anni in modo esponenziale il flusso del turismo. Una vera «vocazione» per la città, propiziata «dalla bellezza di questi luoghi», luoghi «che ci sono dati e affidati come dono e che desideriamo condividere, perché molti altri, insieme a noi, li possano ammirare e contemplare».

Benessere e storture

«Questo flusso turistico - ha proseguito il cardinale - porta tra noi benessere e ricchezza, occasioni di incontro e di scambi, ma insieme anche il rischio di alcune storture e di vari limiti. Per molti aspetti un tale aumento del turismo si sta rivelando insostenibile dal punto di vista sociale e ambientale. Non è qualcosa che accade solo qui. In molte altre Città e territori sta accadendo lo stesso fenomeno (si parla ormai di over-tourism o di “turistificazione”). Nessuno ha soluzioni facili, per questo non può mancare una riflessione più consapevole e condivisa. Non sono pochi gli appelli, anche autorevoli, che in questi tempi hanno ricordato che un tale fenomeno non può essere solo subìto, occorre invece ben gestirlo e governarlo. Io aggiungerei: anche e soprattutto umanizzarlo! È il compito di una buona politica e di una buona Comunità: prendersi cura di ciò che accade, senza lasciarsene travolgere».

Consumismo

Il rischio più immediato, ha detto ancora il vescovo, è quello di un «turismo consumistico, “mordi e fuggi”, che veloce consuma spazi e territorio» e che si traduce in un selfie o un clic: «A questa cultura consumistica ed effimera si contrappone, invece, un’altra idea di turismo: più lento, più consapevole e più rispettoso delle persone, dei luoghi e dell’ambiente».

«Chiediamoci - è l’interrogativo del vescovo - come promuovere una maggiore attenzione ai luoghi culturali e artistici del nostro territorio? Come proporre percorsi di visita ai nostri luoghi storici, ai nostri musei, alle nostre chiese, che siano un reale incontro e arricchimento personale? Come favorire quindi un turismo che faccia crescere non solo i followers, i likes e i guadagni, ma anche l’intelligenza, il cuore, lo spirito?». Una riflessione che investe anche la nostra Cattedrale, meta ogni giorno di migliaia di visitatori che però smarriscono il senso del sacro così intimamente legato a quel luogo. Il Duomo fruito come un museo, mentre è un «luogo innanzitutto di preghiera, individuale e comunitaria, di silenzio, di raccoglimento e di riflessione».

«La visita alla Cattedrale di Santa Maria Assunta, così come alla storica basilica di San Fedele (secolo XII) o a questa stessa antica basilica romanica di Sant’Abbondio e a tanti altri luoghi sacri, come può diventare l’occasione per trasformare un itinerario da soli turisti ad un cammino da veri pellegrini, ossia persone che pregano, ispirati dallo Spirito Santo, gli uni per gli altri, nell’armonia delle diversità, nonostante l’umanità sia oggi ancora preda della indifferenza e della paura dell’altro?» si è chiesto ancora il vescovo.

«Accanto a questo primo rischio, ne riconosco altri, parimenti preoccupanti - ha proseguito il vescovo - L’afflusso di questa ondata turistica nella nostra città comporta un forte aumento dei prezzi delle merci e delle case, fino a rendere il centro città un luogo a tratti inospitale per i cittadini. Sempre più famiglie abbandonano il centro, dove i prezzi delle case sono inaccessibili e molte abitazioni sono ormai trasformate in B&B per ospitalità brevi dei turisti di passaggio. Molti, attratti ormai da un più facile guadagno, scelgono di destinare così le proprietà del centro. Si pensi che dal 2016 al 2023 il numero delle case vacanze è passato da 600 a oltre 4.600. La città, però, così facendo, si svuota e, in qualche modo, si sfalda anche la comunità: più alloggi per i turisti, meno case per i residenti. Questo comporta, non solo nel centro storico, una urgente emergenza abitativa. Con difficoltà si trovano case a prezzi equi e così il diritto ad abitare è messo oggi a rischio per molti giovani, per tanti studenti, per molte nuove famiglie. Per non parlare degli stranieri, che anche quando hanno un lavoro e una stabilità economica, faticano a trovare un’abitazione, talvolta solo per uno strano pregiudizio nei loro confronti. Come sempre, sono i più deboli a soffrire e ad essere messi ai margini. Da molti territori della Diocesi giungono appelli per questa crescente emergenza abitativa. Ancora mi chiedo: come possiamo invertire questa rotta che conduce all’esclusione e non costruisce comunità? Come promuovere una città più vivibile e accessibile a tutti, anche a chi ha meno risorse?».

C’è poi il tema della dignità del lavoro: quanti lavoratori nel settore turistico (spesso giovani o stranieri), si è chiesto il vescovo, sono «sottoposti a ritmi eccessivi, così come a stipendi poco sostenibili per la vita personale e famigliare. Il lavoro non può essere mai sfruttato. Mi domando: come redistribuire più equamente i vantaggi e la ricchezza derivante dal crescere del turismo?».

Arricchirsi ad ogni costo

«Infine - ha proseguito il cardinale Oscar Cantoni - andando ancor più alla radice delle questioni, mi chiedo se ciò che dobbiamo sconfiggere non è forse proprio questa diffusa e facile tentazione a volerci arricchire sempre di più. Incantati dal mito del guadagno, rischiamo di lasciarci distrarre come da un nuovo canto di sirene e così perdiamo la rotta. Ascoltavo da un sindaco del nostro territorio un’analisi intelligente e sincera: questa continua corsa ad una maggiore ricchezza conduce, alla fine, al disfacimento di molte famiglie e Comunità. A chi nella vita sacrifica tempo e relazioni sull’altare della sola ricchezza da accumulare, giungono sempre vere quelle parole di rimprovero del salmo che dice: “se vedi un uomo arricchirsi, non temere e non invidiarlo, perché quando muore con sé non porta nulla”».

Quel è dunque un modello virtuoso al quale guardare? «Un buon turismo - ha detto il vescovo - deve trovare spazi e tempi per valorizzare e non stravolgere l’identità di una città, di una comunità, di un territorio. Si cresce insieme solo nella ricerca di una maggiore armonia tra la vita e la cultura dei residenti con la vita e la cultura di tutti gli ospiti. In questa attenzione, le istituzioni, insieme ai cittadini, sono allora chiamate a coltivare una maggiore e migliore cultura dell’accoglienza che deve essere per tutti. La bellezza di un paesaggio e la ricchezza di una storia e di una cultura appartengono a tutti. Non si può accogliere solo chi è facoltoso ed escludere chi non lo è. Tutti hanno diritto di godere della bellezza del nostro territorio, del fascino del nostro lago, della maestosità delle nostre montagne. Tutti hanno diritto ad avere un posto dove vivere dignitosamente. Dall’Incarnazione di Gesù Cristo in poi, il mondo e in esso tutta la creazione, con la sua bellezza, è la vera basilica dove trovare tracce di Dio».

Il tema dell’ospitalità, con quello della bellezza, è proprio della cultura cristiana, dunque «non è banale il contributo di riflessione e di valore che la comunità cristiana può partecipare alla convivenza pubblica», «una visione sacra dell’ospitalità, che considera l’ospite nel suo valore di persona e non sulla base del profitto che può portare».

Quello che oggi registriamo è invece «una contraddizione che è un autentico scandalo: se hai soldi e porti soldi sei il benvenuto e ti metto il “tappeto rosso” anche se sei straniero. I muri crollano e il dio denaro apre ogni porta. Se invece sei, allo stesso modo, straniero, ma senza soldi: torna a casa tua! Cosa offriamo? Ai turisti facoltosi il lusso, ai poveri il minimo e, a volte, anche meno. Sotteso a questo atteggiamento c’è qualcosa di poco umano: non mi interessa chi sei, ma ciò che possiedi o che non hai».

Quanto è diverso il messaggio del Vangelo, «che è messaggio di più autentica umanità» e invita ad accogliere ogni persona «e, anzi, se si tratta di fare qualche preferenza, questa è da accordare a chi è più bisognoso». Una logica che non guarda all’ospite «attraverso il suo bancomat» ma riconosce la dignità e il bisogno dell’altro: «Se deve esserci un ospite di riguardo questo è proprio il più povero».

Le virtù dell’ospitalità

«Nella sua Regola - ha ricordato il vescovo - san Benedetto dedica un intero capitolo alla virtù dell’ospitalità (cfr. cap 53, Regola di san Benedetto). Raccomanda che ogni ospite sia sempre accolto con la migliore cura. Gli si vada incontro manifestandogli in tutti i modi l’amore, si entri in comunione con lui scambiandosi la pace. Specialmente i poveri e i pellegrini siano accolti con tutto il riguardo e la premura possibile. Gli ospiti siano accolti come si riceverebbe Cristo stesso, specialmente i poveri, perché è proprio in loro che si riconosce Cristo in modo tutto particolare».

«Quale contraddizione - ha detto ancora monsignor Cantoni - se pensiamo alle folle di turisti facoltosi, mettendole a confronto con le folle dei poveri. Quanto pregiudizio nei confronti di questi ultimi, quanta poca dignità, quanta scomodità di condizioni. Nei riguardi dei migranti, preghiamo e impegniamoci di più, perché alla durezza di ciò che li ha spinti a partire, non si aggiunga il disprezzo di chi non li accoglie. Crescere nell’ospitalità significa abbandonare ogni prospettiva che vede nell’altro una minaccia o un nemico cui guardare con sospetto e rivalità, a volte con pregiudizi e con parole poco clementi».

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