Il volto violento dei clan: «Lo abbiamo ammazzato di botte»

L’usura Imprenditore picchiato selvaggiamente, ma lui non denuncia. Nelle intercettazioni il brutale pestaggio di una vittima

03:41

«Minc... ieri una guerra: l’abbiamo ammazzato di botte». Primo dicembre 2020. Giovanni Pirrottina è all’interno del distributore di benzina che l’amico e socio Marco Bono gestiva a Cislago fino a pochi mesi fa. Sta parlando con Vincenzo Pesce, di Rosarno ma spessissimo in trasferta nella Bassa Comasca. Oggetto della chiacchierata il raid del giorno prima ai danni di un imprenditore, che ha avuto la sventura e la pessima idea di chiedere soldi in prestito alle persone sbagliate.

«I calabresi» li chiama l’imprenditore vittima del pestaggio. Sintetizzando così, in modo improprio e odioso per la stragrande maggioranza di calabresi onesti, il fatto che le persone con cui era in debito andassero a braccetto con la ’ndrangheta.

«Quelli mi ammazzano»

L’episodio, costato a Marco Bono di Cadorago e agli amici e soci Giovanni e Giacomo Pirrottina l’aggravante del metodo mafioso, è esemplificativo del vero volto dei clan. Che per quanto tentino di mimetizzarsi, lanciandosi quando riescono nel mondo dell’economia, conservano i vecchi metodi: botte, minacce, armi.

Ne sanno qualcosa un avvocato dell’hinterland milanese e l’imprenditore di cui si era fatto garante presso il gruppo accusato di usura ed estorsione. A sintetizzare l’incubo in cui si era cacciato, è lo stesso imprenditore. Che, solo nella Jeep dei Pirrottina, il 30 ottobre 2020 parla al telefono con un’amica e dice: «Sono con i calabresi... devo andare a prendere il blocchetto degli assegni al volo… sono sei mesi che non gli do un ca.... Ora sono qui: da lì non esco vivo questa sera». In qualche modo però fa: stacca un assegno da 15mila euro e lo intesta alla Forom srl (la stessa usata per i magheggi raccontati nell’articolo nella pagina accanto). Ma l’assegno viene protestato. E il terzetto s’infuria.

Un mese più tardi Giovanni Pirrottina scopre che l’imprenditore aveva iniziato a portar via la merce da un capannone che era in procinto di vendere. Da qui la decisione di intervenire. E, parlando con Marco Bono, prima ipotizza di andare a trovare il loro debitore portando la benzina per dar fuoro al capannone, quindi di volersi vendicare sui familiari dell’avvocato, ritenuto responsabile del mancato pagamento quale “garante”.

Il trenta ottobre scatta la spedizione punitiva. Il primo a raccontare quanto accaduto è Marco Bono, sempre parlando a Vincenzo Pesce: «...l’ho preso da qua a terra e lo stavo strozzando. Ha visto che noi non scherziamo». Anche perché «Gianni l’ha spaccato... l’ha spaccato Gianni» dice riferendosi a Giovanni Pirrottina. Bono, quando arriva, ormai l’imprenditore è a terra sanguinante: «Per fortuna non c’ero, se no non sarebbe rimasto nulla» di lui. «Se lo prendevo io lo lasciavo là» dice, parlando del manganello telescopico in ferro con cui si muoveva». Alla fine del pestaggio l’accordo economico raggiunto è chiaro: il debito è salito a 244mila euro. Ovvero quanto incasserà la vittima dalla vendita del capannone.

«Gli menavo col coso...»

A chiarire ancor meglio la violenza con cui l’imprenditore è stato picchiato, è Giovanni Pirrottina: «Io gli menavo col coso, poi è scappato e sono andato per raggiungerlo. L’ho preso per i piedi e... le mazzate...poi sono arrivati i Carabinieri». E Pesce, preoccupato: «Vi ha denunciato?». Risposta: Non lo so, siamo riusciti a scappare». E l’avvocato? «Giacomo stava andando a menargli... gli ho detto no aspetta...». Ride, l’amico: «Va beh almeno si è sfogato Giacomino». Già, si è sfogato Giacomino.

Alla fine l’imprenditore non ha denunciato proprio nessuno. Ma i poliziotti della squadra mobile di Como hanno ricostruito tutto nei minimi dettagli. E - anche per quel pestaggio - la Dda ha chiesto e ottenuto l’arresto dei protagonisti.

© RIPRODUZIONE RISERVATA