Cronaca / Como città
Giovedì 13 Ottobre 2022
Immobiliare in bancarotta. Cercarono di far ricadere l’accusa su un dipendente: lui assolto, i titolari condannati
La sentenza Sei anni di carcere a un architetto comasco accusato di aver contribuito al dissesto di una società milanese
Sei anni di carcere lui, tre anni lei. Condanne pesanti quelle emesse dal Tribunale di Milano per la bancarotta di una immobiliare amministrata da due volti noti alle cronache comasche (e non soltanto).
La sentenza di colpevolezza ha riguardato l’architetto Mario Margheritis e Stefania Ariosto. Assieme a Giuseppe Pippa, il precedente amministratore unico della società, sono stati condannati dai giudici di Milano al termine di un interminabile processo, iniziato dopo una serie clamorosa di rinvii nel dicembre 2020 e concluso solo ora, a quasi due anni di distanza. Assolto con formula piena un ex dipendente, Domenico Franzin di Balerna, tirato dentro a una vicenda per la quale il Tribunale lo ha ritenuto estraneo ai fatti, accogliendo le conclusioni del suo difensore, l’avvocato Alessandro Premoli.
Sono stati condannati anche a risarcire mezzo milione di euro al fallimento
Tutto ruota attorno al fallimento della Ma.Vi. srl, amministrata (ma solo nell’ultimo anno di vita) da Stefania Ariosto, non nuova a vicende di cronache giudiziarie sia in veste di testimone chiave di vicende spinose del passato che di imputata, con diversi interessi - e pure una casa - nel Comasco, e il cui procuratore generale e amministratore di fatto (secondo l’accusa) era l’architetto - nato e residente in città - Mario Margheritis. La Ma.Vi. srl viene fondata nel 1980 a Como, ma nel 2010 viene trasferita a Milano. L’oggetto sociale è l’acquisto, la costruzione, la ristrutturazione e la gestione di beni immobiliari. Tra i soci anche una società con sede a Dublino. Stando alla ricostruzione dell’accusa la società comincia ad avere problemi economici, al punto che già nel 2012, ovvero quattro anni prima del fallimento, avrebbe di fatto perso l’intero capitale sociale. Nel febbraio del 2016 il Tribunale di Milano, a fronte dei debiti della società, decide di dichiarare il fallimento. La successiva relazione del curatore fallimentare finisce sui tavoli della Procura.
Secondo l’accusa Giuseppe Pippa e Margheritis avrebbero concorso a occultare la perdita del capitale sociale. Quindi, tra il 2012 e il 2016, avrebbero aggravato l’indebitamento. Il principale creditore della società è lo Stato italiano. Nella sentenza di condanna i tre imputati sono stati condannati a risarcire una provvisionale dimezzo milione di euro al fallimento, ovvero più o meno l’entità dei debiti nei confronti dell’erario stimati da curatore e magistratura. Complessivamente il passivo della società sarebbe arrivato alla cifra complessiva di un milione e mezzo.
Margheritis, Ariosto e Pippa avrebbero puntato il dito, come principale responsabile del dissesto, contro Domenico Franzin un dipendente della società colpevole, a loro dire, di aver effettuato prelevamenti senza causa. Lo stesso Franzin è però stato l’unico del quartetto di imputati a essere uscito assolto nel processo per non aver commesso il fatto. La stessa Ariosto è stata condannata solo per alcune delle accuse, e assolta per altre fattispecie per non aver commesso il fatto.
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