Cronaca / Como città
Mercoledì 08 Novembre 2023
In carcere perché maltrattava la moglie. Esce e finisce di nuovo sotto accusa
L’inchiesta Vessazione contro la donna. Era stata isolata anche all’interno della sua comunità
Il suo nome non è nuovo tra quelli già finiti sul registro degli indagati della procura di Como. In passato era stato coinvolto in una vicenda internazionale legata a un presunto giro di “passatori” siriani che trasportavano clandestini verso la Germania. Il tutto usando la provincia di Como e il Lario come base operativa. Ha inoltre una precedente condanna – non ancora definitiva, ma che ha già passato il primo e il secondo grado di giudizio – relativa a una serie di angherie fatte in famiglia contro la moglie, anche davanti ai figli minori, che l’avevano portato a rispondere all’ipotesi di reato di maltrattamenti.
Ieri mattina si è presentato di nuovo in aula per una ulteriore serie di contestazioni – sempre per maltrattamenti in famiglia – compiute dopo essere stato in carcere. Nei guai, nuovamente, è finito un siriano di 46 anni, da tempo residente nel nostro territorio, accusato dal pubblico ministero Antonio Nalesso di una ulteriore serie di vessazioni contro la moglie che di fatto – sostiene la procura – era stata anche «isolata in seno alla comunità siriana». La donna si è costituita parte civile, assistita dall’avvocato Arianna Liberatore. L’uomo, di cui non possiamo fornire altri elementi identificativi a tutela dell’anonimato della vittima, è invece rappresentato dai legali Massimo Di Marco e Sandro Clementi.
Stando al capo di imputazione, le vessazioni contro la consorte iniziarono subito dopo la scarcerazione, ovvero nel 2020, tanto che in uno degli insulti riportati l’uomo accusava la donna di essere «andato in prigione» per colpa sua e della «sua famiglia». Il marito avrebbe intimato di sottrarre alla donna i figli e di «riportarli in Siria» e avrebbe isolato la moglie dal resto della comunità siriana – che la vedeva quasi come una reietta – e della propria famiglia, che non poteva contattare né vedere.
Un regime di sofferenza, in cui la donna non poteva uscire di casa – sempre secondo quello che viene contestato dal pm – non poteva recarsi a fare la spesa, non poteva andare agli incontri con i servizi sociali e nemmeno andare a visite mediche. Una posizione completamente dipendente nei confronti del marito, anche da un punto di vista economico, dato che il consorte non le versava alcun contributo – sempre secondo l’accusa – per la gestione «personale o familiare». Nel corso dell’udienza di ieri sono sfilati in aula una serie di testimoni. I legali dell’uomo ritengono - anche dopo le deposizioni di ieri - di riuscire a provare l’insussistenza delle contestazioni. L’udienza è poi stata rinviata al 21 novembre.
© RIPRODUZIONE RISERVATA