Ius scholae: «C’è integrazione se c’è un legame. È ora che la politica stia al passo»

Punti di vista Marina Consonno (Acli)«La cittadinanza non è una concessione ma un diritto». Giovanni Figini (Cometa Formazione) «Questi ragazzi vanno guidati, non bastano le nozioni»

Era successo nel 2021 dopo le Olimpiadi di Tokyo. Anche quest’anno, a pochi giorni dalla fine dei Giochi di Parigi, la politica italiana ha riportato sotto la lente dell’opinione pubblica il grande tema della cittadinanza italiana e dei suoi criteri di assegnazione. Tra le proposte di riforma depositate in Parlamento dalle opposizioni ce n’è una in particolare, lo Ius scholae, attorno a cui si sta concentrando tutta l’attenzione.

Il motivo? Forza Italia si è dichiarata aperta a valutare l’introduzione di questo criterio. Lo ius scholae e il simile ius culturae legano l’ottenimento della cittadinanza al completamento di un ciclo di studi o di un percorso formativo all’interno del sistema scolastico italiano. In entrambe le proposte, lo studio viene indicato come strumento di integrazione dei ragazzi stranieri che, ad oggi, rappresentano una fetta non trascurabile. Marina Consonno, presidente provinciale delle Acli di Como, spiega che «dal 2019 al 2023 gli studenti stranieri nelle scuole italiane sono aumentati del 5%, arrivando a circa 915mila: stiamo parlando dell’11% degli studenti totali». Di fronte a uno scenario che muta, «la politica deve stare al passo - continua Consonno - e lo scontro al governo sulla questione dello ius scholae o ius culturae ci fa pensare che ci sarà quel coraggioso passo in avanti». La formazione può essere vista come strumento di integrazione, ma molto dipende dalla qualità umana del percorso formativo. Giovanni Figini, dirigente scolastico di Cometa Formazione, pone l’accento proprio sul fatto che «l’integrazione accade se c’è un legame». Sono quasi 100 i ragazzi stranieri, maggiorenni e minorenni, coinvolti nei percorsi formativi di Cometa a loro dedicati. Figini racconta che «alcuni di loro vengono da trascorsi di migrazione, erano rifugiati».

«Molti - prosegue il dirigente scolastico - hanno necessità di iniziare a lavorare velocemente per guadagnare, anche per ripianare i debiti delle famiglie. Non bisogna dimenticarsi però di guardare oltre le nozioni del un percorso formativo e fare un’autentica azione di orientamento, che poi porta all’integrazione. Questi ragazzi vanno guidati nella ricerca della loro strada, non basta inserirli velocemente nel mondo del lavoro».

In sostanza, per quell’11% di ragazzi e ragazze stranieri che a settembre torneranno sui banchi di scuola, l’integrazione dipenderà prima di tutto dalla qualità del percorso che gli verrà offerto, non tanto dall’approvazione o meno di un criterio di acquisizione della cittadinanza.

In Italia il testo di riferimento sul tema è la Legge 5 febbraio 1992, n. 91, in cui vengono stabiliti i tre principali criteri di acquisizione della cittadinanza: la nascita (il cosiddetto ius sanguinis), il matrimonio e la naturalizzazione (per gli stranieri maggiorenni che risiedono almeno 10 anni in Italia legalmente e senza interruzioni). Più volte i vari partiti politici hanno messo in discussione questa legge, proponendo delle riforme, mai arrivate in porto. Una tra queste è lo ius soli temperato, che prevederebbe l’assegnazione della cittadinanza a coloro che nascono sul suolo italiano e hanno almeno un genitore che risiede stabilmente in Italia, in modo legale, da un minimo di 5 anni. Il relativo disegno di legge 2092 fu approvato dalla Camera, ma mai dal Senato. A questo proposito Marina Consonno ricorda: «All’epoca nel 2017, come Acli, avevamo fatto una battaglia. Ora potremmo riprenderla. L’Italia è uno dei paesi dove i requisiti per la cittadinanza sono tra i più rigidi, ma la cittadinanza non è una concessione, è un diritto».

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