La Cassazione smonta il processo paratie

La sentenza Le motivazioni con cui i giudici cancellano 7 reati sugli 8 contestati dalla Procura per il progetto. Prescrizione soltanto per il falso

Tanto tuonò che uscì il sole. Anche una delle ultime due contestazioni (su 8) sopravvissute alla mietitura dei giudici, in merito agli asseriti illeciti commessi dalla giunta Lucini nel progetto paratie, è stata dichiarata «insussistente» dalla Cassazione. Che, in questi giorni, ha pubblicato le motivazioni della sentenza sul processo paratie, chiarendo ogni dubbio interpretativo dopo il dispositivo con cui si dava atto genericamente di una serie di ricorsi accolti e di altri respinti. Motivazioni che confermano quanto emerso sia in primo che in secondo grado: l’indagine che ha portato a diversi arresti, a sospensioni dal servizio e alla fine - di fatto - dell’esperienza amministrativa di Mario Lucini e della sua maggioranza, ha contestato reati laddove reati non ve n’erano.

Il ragionamento della Corte

Il passaggio sicuramente più interessante della sentenza, riguarda il primo capo d’imputazione contestato all’ex sindaco Lucini, agli ex dirigenti Pietro Gilardoni, Antonio Ferro e Antonella Petrocelli. Per semplificare, quel fatto è la scintilla dell’inchiesta paratie: lo spacchettamento degli incarichi ad alcuni professionisti per la realizzazione dell’ultima variante delle paratie (quella, in sintesi, che dal punto di vista ingegneristico è stata di fatto adottata da Regione Lombardia per terminare - questa estate - i lavori).

Ricordiamo la vicenda. Mario Lucini, da geologo, capisce che il progetto approvato dall’amministrazione Bruni così com’è è pericolosissimo: il fondale del lago non è fatto di roccia, ma cede. E infatti la scalinata realizzata nel tratto a ridosso dei giardini è miseramente crollata in due anni, dopo la prima tranche di lavori. Quindi, forte di una consulenza dell’università dell’Insubria e del Politecnico, decide di rivedere il progetto dal punto di vista strutturale. E, anziché andare a gara, di procedere ad affidare ad alcuni professionisti ad hoc la progettazione, dividendo i vari incarichi. In questo modo non supera le soglie che obbligano la pubblica amministrazione a fare una gara.

Secondo la Procura e secondo l’Autorità Anticorruzione, all’epoca presieduta da Cantone, si tratta di turbativa d’asta. Da lì nasce l’indagine e da lì nascono ben 8 capi d’imputazione contro l’allora amministrazione. Bene, la Cassazione sul punto è tassativa: per esserci turbativa di gara, ci dev’essere una gara.

«Considerare “atto equipollente” al bando di gara - scrivono i giudici - quello che tale procedura ometta di svolgere rappresenta, più che un’estensione analogica in malam partem del testo normativo, un vero e proprio sovvertimento di esso». Tradotto: il capo d’accusa contestato stravolge il senso anche letterale della norma. E la Corte Costituzionale ha più volte sottolineato che è «intollerabile che la sanzione penale possa colpire l’individuo “per fatti che il linguaggio comune non consente di ricondurre al significato letterale delle espressioni utilizzate dal legislatore”».

La Cassazione dunque ha accolto il ricorso di Ferro, di Lucini, di Petrocelli e di Gilardoni assolvendoli nel merito (e non per prescrizione) perché «il fatto non sussiste».

Il solo reato non cancellato nel merito, ma dichiarato solo prescritto, sopravvissuto alle contestazioni originarie riguarda un’accusa di falso mossa a Lucini e Gilardoni per aver asserito falsamente (secondo l’accusa) che quel frazionamento fosse lecito. Scrive la Cassazione: «Si assume che, non sussistendo» la turbativa d’asta «verrebbe automaticamente meno anche il falso». In realtà un simile ricorso «è infondato» in quanto «il delitto di turbata libertà di scelta del contraente è stato escluso in ragione dell’assenza di una procedura competitiva, non perché dovesse reputarsi veridico il documento mediante il quale gli imputati avrebbero eluso l’obbligo di indire la gara. Pertanto, in assenza di specifiche censure sulle ragioni per le quali tale documento non potrebbe considerarsi falso, la censura è, se non altro, generica».

La corruzione

L’unica vicenda che resta aperta è quella sulla corruzione per l’allargamento di Salita Peltrera. Qui la Cassazione ha accolto il ricorso della Procura: gli ex dirigenti Pietro Gilardoni e Antonio Viola dovranno essere nuovamente giudicati in Appello (dove furono assolti), perché per Roma i loro comportamenti nella vicenda configurano la corruzione. Quella contraria ai doveri d’ufficio, come sosteneva l’accusa, o per i doveri d’ufficio? Deciderà Milano e sarà un passaggio cruciale: nel secondo caso, infatti, il reato è prescritto.

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