La mamma: «Il mio Yuri ucciso due volte»

Il caso Parla la madre del giovane cameriere strangolato a morte a Milano. L’assassino condannato a 14 anni

«Me l’hanno ammazzato due volte». Non usa giri di parole Giovanna Nucera, la mamma di Yuri Urizio, il cameriere comasco ucciso a 23 anni strangolato in Darsena a Milano. Un omicidio spietato, che per il pm e i giudici meritava la pena di 14 anni, ovvero 21 anni meno un terzo di sconto per la scelta del rito abbreviato. Opzione resa possibile dall’assenza di aggravanti contestate dalla procura meneghina.

I motivi del delitto, tra l’altro, non sono mai stati completamente chiariti. Il tunisino condannato, Cubaa Bilel , 29 anni, in un primo momento aveva parlato di un suo intervento per difendere una ragazza, ma le indagini della squadra Mobile avevano smentito questa versione anche per voce della stessa giovane che era stata ripresa dalle telecamere con Yuri poco prima del delitto. Vendeva cioccolata in Darsena e agli agenti aveva detto: «Il ragazzo non è mai stato aggressivo, non mi ha mai messo le mani addosso... Non ha fatto nessun gesto volgare».

Un Paese senza giustizia

Smentita questa favola, nessuna altra motivazione era stata poi trovata a quel crudele omicidio, come solo può essere un fatto dove un ragazzo viene soffocato a mani nude per sette interminabili minuti. «Siamo un paese senza giustizia – dice la madre, con il volto stravolto dal dolore per questi anni di continue sofferenze – Me l’hanno ammazzato due volte. Io non ho mai creduto alla legge in Italia e ora ne ho avuto conferma. L’imputato ha chiesto scusa? A me delle sue scuse non importa niente, mio figlio non me lo ridarà nessuno». Ma c’è un altro tarlo che scava nell’animo della mamma di Yuri. «Non sono mai nemmeno stata sentita dalla procura in questi mesi – prosegue – Avrei potuto dire quello che c’era nel portafoglio che è stato trovato vicino a Yuri, banconote in lire che mio figlio aveva mostrato e che erano per lui un ricordo del padre. Avrei potuto dire tante cose ma nessuno me le ha mai chieste. L’unica cosa che mi resta oggi è cercare di fargli avere giustizia. Yuri è con me in ogni istante».

Sulla stessa linea anche l’avvocato Fabio Gualdi, che per mesi aveva cercato di insistere sul fatto che alla contestazione mancassero le aggravanti, che da sole avrebbero reso non possibile una condanna a 14 anni: «Questa non è una pena di giustizia – dice l’avvocato del Foro di Como – Capisco l’aspetto riabilitativo delle sentenze, ma bisogna anche pagare per quello che si commette e in questo caso lo sbilanciamento è eccessivo e tutto da una parte».

Capace di intendere e volere

Prima di arrivare alla condanna a 14 anni con il rito abbreviato, il perito aveva depositato il proprio operato sulla mente del tunisino che lo reputava pienamente capace di intendere e di volere, evidenziando «l’assenza di alterazioni della personalità» successive all’abuso di alcol – come era stato chiesto nel quesito dai giudici – che avrebbero potuto «indurre stabili modificazioni patologiche nel soggetto e nella sua psiche». Inoltre, non erano stati evidenziati, dopo l’arresto, nemmeno «segni di astinenza» o da «intossicazione cronica». La tesi insomma era stata netta: «Un reato commesso sotto l’effetto di sostanze non implica il riconoscimento del vizio di mente». Netta la chiosa: «La libera scelta di assumere quantità ingenti di alcol, di “fare serata”, non ha alcuna rilevanza sulla capacità di intendere e volere».

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