La mamma di Yuri: «Lo riporterò nella sua amata Como»

La tragedia Giovanna Nucera: «Sono rimasta fino all’ultimo accanto al suo letto, ero certa che si sarebbe svegliato». Il figlio ucciso a Milano in Darsena

«Voglio portare via mio figlio da Milano. Voglio riportarlo nella sua Como. Qui gli farò il funerale, ad Albate, e lo seppellirò accanto a suo padre. Non aveva mai voluto cambiare la residenza Yuri, era ancora oggi in via Mentana». La mamma di Yuri Urizio, 23 anni, il cameriere ucciso barbaramente alla Darsena di Milano la scorsa settimana, accetta di parlare a La Provincia e di raccontarci di suo figlio, senza però rispondere ad alcuna domanda sull’indagine che è ovviamente coperta da segreto istruttorio e che è in mano alla polizia e alla procura di Milano.

Il risveglio di soprassalto

Minuti di sofferenza, per Giovanna Nucera, ricordando il figlio fin bambino, cresciuto tra via Coloniola («abitavamo lì quando fece la comunione»), viale Masia «che fu la nostra ultima casa», la scuola di via Fiume e di via Brambilla, l’Enaip, fino ad arrivare alla sera del dramma. Partiamo proprio da qui, con la voce che si incrina e la sofferenza che diventa tangibile e con l’unico rimedio possibile – quando il peso è insostenibile – di cambiare per un attimo discorso, ricordando i momenti felici precedenti al dramma. «Quando ho sentito Yuri l’ultima volta? Quella maledetta sera, era passata la mezzanotte da 24 minuti. Era con sua cugina. Gli ho semplicemente detto, come facevo sempre, si non fare tardi e di mandarmi un messaggio. Non mancava mai di avvisarmi sui suoi spostamenti. Anzi, mi prendeva in giro dicendo che ero troppo pressante».

Alle 3.52 di quella notte, documentano le telecamere, avvenne l’aggressione fatale da parte del tunisino ora in carcere accusato di omicidio. La madre di Yuri si sveglia di soprassalto poco dopo, proprio in quei minuti decisivi. Ricorda: «Erano le 4.30 quando mi sono svegliata all’improvviso. Yuri non c’era ancora in casa. L’ho chiamato ma il telefono era spento. Ho sentito mia nipote che mi ha risposto di non preoccuparmi che l’aveva lasciato in Darsena, con un gruppo di amici pugliesi». In quei minuti, però, il cameriere comasco era già nelle mani dei medici, in quella lotta disperata per salvargli la vita che è naufragata dopo due giorni di sofferenze e vane speranze. «La mattina dopo dovevo venire a Como per un impegno, Yuri non era ancora rientrato – prosegue la mamma – Alle 8 non mi rispondeva ancora, ho richiamato di nuovo mia nipote, che mi ha ribadito di non preoccuparmi. Sono entrata in banca a Camerlata e quando sono uscita mi è arrivata una chiamata da un numero fisso di Milano che non conoscevo. Ho capito che stava succedendo qualcosa. Erano i medici della Rianimazione. Il viaggio da Como a Milano non potrò mai dimenticarlo e non riesco a raccontarlo. Non avrei mai potuto pensare ad una cosa del genere, aggredito in quel modo...». Serve una pausa.

Era ancora vivo

Poi il discorso riprende dal punto in cui era stato interrotto: «Quando sono arrivata in ospedale il medico mi ha detto che Yuri era grave ma che era vivo. Aggrappata a quelle parole ho sperato per due giorni. Ho vissuto la speranza. Sono stata accanto al suo letto, fino alla fine ero certa che si svegliasse... Gli dicevo, “ti prego Yuri, resta qui con me”».

La famiglia aveva già subito un lutto, quello della morte del padre dieci anni fa. «Era molto legato a suo padre – dice Giovanna – Lo seppellirò vicino a lui. Io sono cresciuta con mio figlio, era bravo al lavoro, era dolce con me. Non era solo un figlio, era un mio complice e il mio migliore amico. Ora non me lo fanno più nemmeno vedere, voglio sistemarlo, voglio lavarlo...».

Il funerale come detto sarà a Como, nella città di Yuri che ancora oggi con orgoglio segnava sui suoi social come luogo di provenienza. «Lo porterò via da Milano. E’ una città pericolosa, l’avevamo percepito subito quando eravamo arrivati solo pochi mesi fa, per questo ero così ossessiva per farmi dire dove andava. Ma Yuri non ce la faceva più ad andare avanti e indietro per lavoro, quindi abbiamo deciso insieme di trasferirci giù. Ma ha sempre voluto mantenere a Como la residenza. Mio figlio era un ragazzo buono, non si aspettava una tale crudeltà. Me l’hanno ammazzato come un cane... Fossimo rimasti a Como tutto questo non sarebbe successo».

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