Cronaca / Como città
Mercoledì 01 Aprile 2020
La tragedia delle residenze assistenziali
Coronavirus, qui si muore senza diagnosi
Nessun tampone né ricovero per chi sta male per i pazienti che accusano i sintomi della polmonite. Dodici i decessi sospetti negli ultimi giorni alle Camelie
Como
C’è allarme nelle case di riposo della provincia per l’incremento dei casi di contagio. Alle Camelie, in città, si contano già 12 morti con sintomatologia sospetta. Non vengono eseguiti i tamponi, non vengono ricoverati gli ammalati.
In un clima di crescente incertezza e di difficoltà - specie a livello di comunicazione - i parenti degli anziani ricoverati rincorrono le notizie spesso prive di fondamento di ospiti e di operatori positivi.
«L’unico caso accertato di coronavirus nelle nostre strutture si è verificato a metà mese – spiega Gianmarco Beccalli, presidente della Ca’ d’Industria - e si è verificato proprio alle Camelie. Quella persona, purtroppo poi deceduta, è stata la sola ad essere ricoverata in ospedale ed è stata l’unica ad aver ricevuto la verifica del tampone. In questa fase le autorità sanitarie non dispongono più ricoveri e non effettuano più tamponi nelle Rsa. Dunque è impossibile sapere con certezza la natura della malattia, se si tratta o meno di coronavirus. Purtroppo però è vero che abbiamo ospiti con sintomi febbrili e di recente abbiamo contato dodici decessi. Si tratta però anche di anziani con patologie importanti e pregresse».
Il bacino degli ospiti alla Camelie è attualmente di circa 120 ospiti. Nelle strutture di Rebbio e di via Brambilla sempre facenti parte della Ca’ d’Industria il quadro è meno drammatico, la direzione riferisce che per fortuna non ci sono emergenze tanto spinose. «Noi comunque abbiamo messo in atto tutte le procedure del caso – dice ancora Beccalli – per isolare i casi sintomatici, per difendere i nostri ospiti. Adesso speriamo che grazie all’impegno di Ats sia possibile fare i tamponi. Dobbiamo dire un enorme grazie ai nostri operatori sanitari. Ai tanti che, a Villa Celesia, volontariamente hanno deciso di restare dentro le Rsa a dormire e a vivere prestandosi a turni anche molto lunghi. Pur di non abbandonare le persone fragili e sole che hanno un gran bisogno di aiuto. Sono professionisti che non lo fanno certo per soldi, per loro è una missione».
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