Lariano schiavo di Hitler. Risarcita la famiglia, ma l’Italia si oppone

La storia Comasco detenuto due anni nei lager nazisti. Il figlio e la moglie vincono la causa contro la Germania. E il ministero delle Finanze fa ricorso contro la sentenza

Como

Un giudice condanna la Germania a risarcire i famigliari di un soldato italiano deportato per due anni nei lager nazisti. Ma contro la sentenza fa ricorso il governo italiano, che chiede l’annullamento del risarcimento danni. Suona quasi come un crudele paradosso la vicenda di Emilio Garavaglia, originario di Colico, trasferitosi a Domaso dopo la guerra, i cui famigliari (che vivono tra Como e l’altolago) stanno combattendo una battaglia legale per ottenere il risarcimento per quei due anni da incubo trascorsi nei campi di prigionia di Stablak, Kustrin e Konigsbarg tra il settembre del 1943 e la fine della guerra.

Il ricorso

Ad assistere il figlio e la moglie di Emilio Garavaglia sono gli avvocati comaschi Aldo Turconi ed Elisabetta Corrado che, nei mesi scorsi, hanno vinto la causa civile davanti al giudice di Lecco (competente per territorio, visto che Garavaglia era originario di Colico) ottenendo la condanna della Repubblica Federale di Germania a pagare un risarcimento per danni morali di un quarto di milione di euro.

Dopo l’armistizio, Garavaglia, che stava prestando servizio militare nel Quinto Alpini, venne arrestato dai nazisti per essersi rifiutato di schierarsi accanto ai repubblichini di Salò. A settembre del 1943 venne deportato in Germania e quei due anni lo provarono pesantemente: «Aveva il chiodo fisso della guerra - ha raccontato la nuora, Elisabetta Piazza - In particolare parlava della sua prigionia a Dresda. Abbastanza spesso aveva degli incubi la notte e in alcuni casi la moglie doveva chiamare il figlio per aiutarla a calmarlo». Negli anni Ottanta la famiglia Garavaglia aveva una panetteria: «Capitava che nel suo negozio - ha riferito ancora la nuora - entrasse un turista tedesco e lui improvvisamente lo riconosceva come uno delle SS. E mi diceva: “Quello lì era uno di quelli che c’erano là”» facendo riferimento al campo di concentramento.

La sentenza

Nella sua sentenza il giudice Mirco Lombardi ha lungamente sottolineato come, nonostante la Germania abbia ottenuto l’immunità per i fatti compiuti dai nazisti nel corso della seconda guerra mondiale, sull’immunità stessa prevalgano quelle «norme inderogabili» quasi «i diritti fondamentali della persona umana». Scrive il giudica: «I crimini internazionali minacciano l’umanità intera e minano le fondamenta della coesistenza internazionale, trattandosi di violazioni particolarmente gravi per intensità o sistematicità dei diritti umani».

E dopotutto i legali della famiglia Garavaglia (con il figlio Fernando Garavaglia e la moglie Giuseppina Anna Feloi) hanno ampiamente e «adeguatamente dimostrato» che l’alpino di Colico «nel settembre 1943 è stato catturato dalle forze armate del Terzo Reich, identificato con la piastrina di riconoscimento numero 976 e deportato in Germania fino all’agosto 1945». Così come dimostrata è «la sottoposizione di Garavaglia a trattamenti disumani».

L’alpino comasco ha anche ricevuto la Croce al Merito di Guerra e l’autorizzazione a fregiarsi del distintivo della Guerra di Liberazione.La Germania non si è mai interessata alla causa civile, nonostante l’Ambasciata tedesca in Italia sia stata regolarmente informata. Ma della vicenda si è occupato il ministero delle Finanze italiano, presso il quale è stato creato il fondo per i crimini contro l’umanità commessi dai tedeschi contro gli italiani durante il conflitto mondiale. Il ministero stesso si è opposto al risarcimento sostenendo che fosse ormai prescritto e comunque non dovuto.

L’Avvocatura dello Stato ha proposto appello insistendo nell’eccezione di prescrizione, nonostante si tratti di crimini contro l’umanità. Un ricorso che ha suscitato «la profonda delusione» dei famigliari di Emilio Garavaglia per l’atteggiamento del ministero delle Finanze, tenuto al pagamento del risarcimento.

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