Lite per una sbarra e un prato. Causa di 11 anni finita in nulla

La causa Interminabile battaglia legale per un terreno a Monte Olimpino. La sentenza finale riporta le lancette al 2012

Ce la si prende con i tempi della giustizia, ma è anche vero che spesso e volentieri le aule dei Tribunali italiani - in questo caso parliamo di aule civili - sono affollate da cause scaturite da liti che potrebbero, forse, trovare soluzioni differenti, alla causa.L’ultimo caso è approdato addirittura in Cassazione, ha tenuto impegnati i giudici di ben tre gradi di giudizio (tribunale civile di Como, tribunale d’appello di Milano e sezione civile della Suprema Corte) per 11 anni. E il verdetto finale è stato: tutto resti com’è. Come dire: undici anni gettati via, del tutto inutilmente.

La vicenda in questione riguarda una sbarra e un prato (non edificabile) in quel di Monte Olimpino. Su quella sbarra e per quel prato due privati (comaschi) si sono accapigliati in cause, corsi e controricorsi cominciati agli inizi del 2012 e terminati quest’anno.

La vicenda, in sintesi, è questa: i proprietari di un “terreno in agro” a Monte Olimpino chiedono al Tribunale di Como di ordinare all’uomo che, decenni prima, era stato autorizzato a utilizzare quel terreno per fare foraggio per i propri animali di togliere una sbarra piazzata all’ingresso del fondo. Di fronte a questa causa, l’utilizzatore del prato ha deciso di passare al contrattacco e chiedere al giudice di dichiarare l’usucapione del terreno, con relativo passaggio di proprietà.

Dopo tre anni il giudice civile di Como accolse la domanda di rimozione della sbarra e rigettò quella di usucapione. Vittoria dei proprietari, dunque. Ma l’utilizzatore decide di non darsi per vinto. E, quindi, presenta attraverso il proprio avvocato un lungo ricorso presso la corte d’Appello di Milano, per chiedere l’annullamento della sentenza di primo grado e per insistere, ovviamente, sulla dichiarazione di usucapione dell’ambitissimo prato.

I giudici di Milano cambiano parzialmente la sentenza, nel senso che confermano che l’usucapione non c’è, ma ritengono infondata la pretesa di rimozione della sbarra perché i proprietari avevano comunque la possibilità di accedere al proprio fondo.

A questo punto, tutti quanti prendono la sentenza di appello e si rivolgono alla Cassazione. Con tutta una lunga serie di motivi, dichiarati tutti quanti inammissibili dai giudici romani. E dunque: rigettata la richiesta di rimozione della sbarra, perché la Cassazione «non è mai giudice del fatto in senso sostanziale» in quanto «esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione» e quindi la parte «non può limitarsi a contrapporre la propria diversa interpretazione del fatto». E rigettando la richiesta di usucapione perché l’autorizzazione all’utilizzo si limitava al taglio dell’erba due volte l’anno per poter poi foraggiare il proprio bestiame. Tradotto: tutto resti come 11 anni fa. Tre sentenze dopo.

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